Rocca lascia a casa oltre 150 interinali della sanità laziale. Cobas: “Doppia discriminazione”
- Postato il 17 luglio 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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Per anni hanno lavorato nei servizi essenziali delle aziende sanitarie del Lazio: sportelli Cup, accettazioni, anagrafi, centralini e uffici amministrativi. Sono oltre 150 i lavoratori e le lavoratrici impiegati in somministrazione, attraverso contratti con agenzie interinali rinnovati per anni, che negli ultimi mesi sono stati lasciati a casa. Il motivo è la decisione della giunta Rocca di non rinnovare gli appalti in scadenza. Dietro la scelta c’è una storia che parla di precarietà strutturale, vuoti normativi e assenza di tutele. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto una replica alla Regione Lazio, ma non ha ricevuto risposta.
Le mansioni degli operatori erano identiche a quelle del personale assunto a tempo indeterminato. In molti casi, erano al lavoro da sette, otto, perfino vent’anni. Alcuni erano in servizio anche durante l’emergenza Covid. Eppure, nessuna possibilità di stabilizzazione: la legge Madia, che pure era nata per ridurre il precariato nella pubblica amministrazione, ha finito per escludere proprio chi ha lavorato in somministrazione. E con la fine degli appalti, anche l’ultimo filo che li legava alla sanità pubblica si è spezzato.
“Parliamo di persone che hanno garantito per anni il funzionamento quotidiano di interi reparti e servizi e oggi si trovano licenziate, senza tutele, senza prospettive, senza nemmeno il riconoscimento del lavoro svolto. È una ferita che riguarda non solo i lavoratori, ma l’intero sistema sanitario pubblico”, spiega Domenico Teramo, sindacalista Cobas Lavoro privato che sta seguendo la vertenza.
La normativa prevede che possano accedere ai percorsi di stabilizzazione solo i lavoratori con almeno tre anni di servizio svolto direttamente con contratti a tempo determinato nelle pubbliche amministrazioni. I somministrati, anche quando impiegati in modo continuativo per anni, sono esclusi. Una discriminazione formale che, secondo i sindacati, si traduce in un’ingiustizia sostanziale. “Questa legge finisce per consolidare un doppio binario: chi ha il contratto giusto può essere stabilizzato, chi ha fatto lo stesso identico lavoro ma con una formula diversa viene abbandonato. È una precarizzazione sistemica e legalizzata”, continua Teramo.
La decisione della Regione Lazio di non rinnovare gli appalti ha aggravato la situazione. In molti casi i contratti erano attivi fin dal 2017, in alcuni anche da prima. Con la scadenza dell’ultima proroga, le Asl si sono trovate improvvisamente senza parte del personale amministrativo su cui avevano fatto affidamento per anni. E a distanza di settimane, molte strutture stanno cercando soluzioni tampone per coprire i buchi lasciati da chi è stato allontanato. “Si crea un cortocircuito grottesco si licenziano lavoratori esperti, formati sul campo, e poi si riaprono nuove gare per assumere figure temporanee. Una macchina inefficiente, oltre che disumana”, denuncia Teramo.
Nel frattempo, i lavoratori hanno provato a farsi sentire. Hanno manifestato davanti alle sedi delle Asl, scritto lettere, avviato interlocuzioni con consiglieri e parlamentari. Il 2 aprile scorso è stata inviata una richiesta formale di incontro al presidente della regione Lazio, Francesco Rocca, che ha la delega alla sanità. Nessuna risposta. Di fronte al silenzio istituzionale, hanno deciso di scrivere direttamente al Presidente della Repubblica. Una lettera accorata, firmata da decine di lavoratori, in cui chiedono un intervento a garanzia dei diritti calpestati. “Siamo stati formati, impiegati, sfruttati e poi lasciati soli – si legge nel testo – chiediamo giustizia, trasparenza e rispetto”.
Secondo i Cobas, la Giunta regionale avrebbe potuto – e dovuto – trovare soluzioni transitorie per evitare l’interruzione dei rapporti di lavoro. “C’erano margini per prevedere proroghe straordinarie o per avviare percorsi di internalizzazione attraverso graduatorie dedicate, ma si è scelta la strada più semplice: chiudere tutto e ripartire da zero. Una logica ragionieristica che non tiene conto delle competenze maturate e del danno umano e sociale provocato da questi licenziamenti”, spiega Teramo .
In alcune aziende sanitarie si è già cominciato ad assumere nuovo personale con contratti a tempo determinato o attraverso altre agenzie. Ma i lavoratori storici restano esclusi. “È una beffa ulteriore che dimostra come non si trattasse di un problema di organico, ma di volontà politica”, denuncia il sindacato.
La mobilitazione prosegue. I sindacati chiedono ora l’apertura di un tavolo tra Regione e ministero della Salute per affrontare il nodo della stabilizzazione degli interinali e superare le rigidità della legge Madia. “Serve una riforma che riconosca il lavoro effettivamente svolto, non solo la forma contrattuale altrimenti il rischio è che questo diventi un precedente pericoloso: un modello in cui il lavoro pubblico viene esternalizzato, precarizzato e poi scartato. Ma noi non ci rassegniamo”, conclude Teramo.
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