Roberto Gualtieri, il sindaco di Roma compra casa agli abusivi coi soldi del comune
- Postato il 23 luglio 2025
- Di Panorama
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Roma compra un palazzo occupato. Lo fa davvero. E lo fa con convinzione, rivendicando la scelta come una “vittoria politica”.
La notizia ha fatto il giro di Roma (e non solo) in poche ore. Non solo per la cifra – 22 milioni di euro –, ma per il principio che ribadisce: nella Capitale, l’occupazione può diventare titolo legittimo di residenza. L’edificio di via Lucio Calpurnio Bibulo 13, al quartiere Don Bosco, era finito da tempo nel mirino delle cronache locali. Non per un caso di cronaca nera, ma per una vicenda lunga vent’anni che si intreccia con l’abuso edilizio, la precarietà sociale e – soprattutto – la politica.
La giunta Gualtieri ha deciso: quell’edificio sarà acquisito da Roma Capitale e diventerà a tutti gli effetti patrimonio pubblico a destinazione residenziale. Una scelta celebrata dalla sinistra in Aula Giulio Cesare come un gesto “di giustizia sociale” e “di coraggio amministrativo”. Ma che sul piano sostanziale solleva una questione seria: che idea di legalità trasmette questa operazione?
Una storia iniziata con un atto dichiarato illegittimo
Nel 2006, l’allora minisindaco Sandro Medici, figura storica della sinistra capitolina, requisì il palazzo di via Bibulo per assegnarlo a una cinquantina di famiglie in emergenza abitativa. Un atto compiuto fuori dai binari della legge, che infatti il Tar del Lazio dichiarò illegittimo. Ma nessuno intervenne per far rispettare la sentenza. L’occupazione andò avanti. E con il passare degli anni, altre famiglie si aggiunsero. Chi proveniva da uno sfratto, chi da una situazione di disagio sociale, chi aveva semplicemente occupato. Nessuno aveva un contratto. Nessuno aveva un titolo. Ma tutti rimasero lì.
A otto anni dalla messa all’asta e a quasi venti dalla prima occupazione, quelle famiglie – circa un centinaio – sono ancora lì. E il Comune, invece di far rispettare la legge, ha deciso di comprarsi il problema.
Un’operazione milionaria per legalizzare l’abuso
L’iter è stato rapido. Il primo via libera è arrivato in giunta, su proposta dell’assessore Tobia Zevi, e subito dopo è stato approvato anche dall’Assemblea Capitolina. Il tempo stringe: per chiudere la partita bisogna stanziare i fondi entro il 31 luglio, data dell’assestamento di bilancio. L’obiettivo è chiaro: evitare sgomberi, placare le tensioni, e fare di un’anomalia una normalità istituzionalizzata.
I 22,2 milioni andranno alla Loanka Srl, società controllata dalla Hera Holding Real Estate, che aveva acquistato l’edificio all’asta nel 2017. Con questa mossa, il Campidoglio trasforma gli occupanti in inquilini regolari del Comune, che potranno pagare un canone calmierato e restare nelle case che non avrebbero mai dovuto abitare.
La strategia del centrosinistra: comprare, non sgomberare
Zevi difende la scelta su tre livelli: ripristino della legalità, incremento dello stock abitativo pubblico, investimento in politiche sociali. Eppure, proprio quel “ripristino della legalità” suona come una contraddizione palese. Perché a Roma, ormai, la legalità si ripristina non con le forze dell’ordine, ma con il rogito notarile.
E non è un caso isolato. Via Bibulo è solo la prima tappa di un piano più ampio che prevede l’acquisto di oltre 1.300 alloggi. Con un dettaglio non secondario: molti di questi sono già occupati. Come dire: l’emergenza abitativa si risolve premiando chi l’ha creata.
Il centrodestra: “Così si istituzionalizza l’illegalità”
Le reazioni non si sono fatte attendere. Le opposizioni, in primis Fratelli d’Italia e Lega, hanno denunciato quella che definiscono una resa culturale e politica. La domanda che pongono – e che si pongono anche tanti romani – è semplice: che messaggio si dà ai cittadini onesti, che aspettano da anni una casa popolare rispettando le regole?
A Roma ci sono migliaia di famiglie in graduatoria, che pagano affitti improponibili o vivono in condizioni al limite. Famiglie che hanno scelto la via legale, e che oggi si vedono superare da chi ha deciso di forzare la mano. Per loro non ci sono delibere urgenti. Né rogiti milionari.
Via Bibulo come modello?
Il caso via Bibulo rischia di fare scuola. L’operazione può essere letta come un precedente pericoloso, soprattutto in una città dove l’abusivismo residenziale è una piaga mai sanata. Se basta occupare un edificio e resistere abbastanza a lungo per ottenere casa, allora il sistema delle graduatorie, dei bandi e dell’assegnazione pubblica diventa un simulacro svuotato di senso.
E questo è il vero problema politico. Perché la legalità, in democrazia, non si misura solo dal rispetto formale delle norme, ma dalla coerenza tra il messaggio e l’azione delle istituzioni.
Una Capitale senza regole, o con regole flessibili?
Roma è una città complicata. La pressione abitativa è reale, le fragilità sociali sono tante, e i margini di manovra sono stretti. Ma anche in questo contesto, la scelta della giunta Gualtieri lascia un sapore amaro. Perché sembra dire che le regole valgono solo per alcuni. E che per altri – più organizzati, più visibili, più rumorosi – si possono sempre trovare scorciatoie.
E mentre le 98 famiglie di via Bibulo brindano a una casa che non avevano mai ottenuto per via legale, resta una domanda sospesa: questa è giustizia sociale o ingiustizia istituzionale?