Rivoluzione energetica

  • Postato il 14 ottobre 2024
  • Di Focus.it
  • 1 Visualizzazioni
Dallo spazio alla presa di corrente in casa. È questo il viaggio che in futuro potrebbe fare l'energia elettrica: catturata dal Sole direttamente in orbita, trasformata e poi distribuita in un Pianeta sempre più energivoro. E sempre più alla ricerca di soluzioni per arrestare il cambiamento climatico. «Il progetto Solaris, coordinato dall'Agenzia Spaziale Europea (Esa), mira a produrre energia solare a 36mila km dalla Terra e a trasferirla sul nostro pianeta (v. Focus n. 368). È ancora agli albori, ma ha ambizioni importanti. In questa fase si sta studiando la fattibilità tecnico-economica di questa soluzione e noi stiamo contribuendo nell'ambito di un accordo con Thales Alenia Space», ci spiega Nicola Rossi, Responsabile Innovazione di Enel, che vi prende parte per l'aspetto energetico.. «La tecnologia fotovoltaica è stata usata per la prima volta proprio nello spazio (sul Vanguard I, satellite lanciato in orbita nel 1958, ndr) e poi ha avuto enormi ricadute sulla Terra», prosegue Rossi. «Adesso si sta valutando la possibilità di piazzare i pannelli in orbita, per catturare la luce del Sole praticamente 24 ore su 24. Tuttavia, per riuscirci bisogna superare alcune importanti sfide: anzitutto ridurre al minimo il peso dei pannelli e delle strutture di supporto poiché i costi crescono all'aumentare del peso del materiale da portare in orbita. In secondo luogo, bisogna aumentare la performance: i pannelli terrestri sono costituiti da celle in silicio e assorbono solo la frazione rossa della luce solare, convertendo in elettricità circa il 22% della radiazione assorbita, mentre le celle spaziali sono multi-giunzione, ovvero costituite da molti strati di piccolissimo spessore e di materiale diverso, ciascuno in grado di assorbire una specifica frazione dello spettro della luce solare; in questo modo la cella sfrutta tutto lo spettro luminoso convertendolo in elettricità, e questo porta il rendimento al 28% sebbene in futuro si punti a raggiungere valori del 40%. Infine, le celle spaziali hanno al momento costi molto più alti rispetto alla tecnologia terrestre (oggi un pannello per lo spazio costa più di 100 euro a Watt contro i 15 centesimi di quelli sulla Terra, ndr), per cui in ultima analisi bisognerà abbassarli enormemente, perché produrre elettricità in orbita e trasportarla sulla Terra abbia un senso economico». Un'ulteriore sfida sarà poi quella della trasmissione dell'energia sul nostro pianeta: «Trasformata in microonde l'energia potrà essere spedita sulla Terra dove ci saranno delle antenne che la riceveranno e la trasformeranno in elettricità, ma serve aumentare l'efficienza e garantire la sicurezza», dice Rossi. Secondo le attuali valutazioni la Spagna potrebbe essere il primo Paese europeo a costruire una stazione di ricezione, in una road map definita da Esa che prevede di arrivare a produrre in orbita 1 MW entro il 2030 e 100 MW nel 2035. Dallo spazio all'acqua. Se il fotovoltaico dallo spazio è ancora in una fase di studio, quello sull'acqua, il cosiddetto fotovoltaico galleggiante, è già realtà, spiega l'esperto di Enel che ci guida alla scoperta delle tecnologie e delle innovazioni più interessanti per rendere la produzione di energia elettrica sempre più sostenibile ed efficiente. «In questo caso», spiega Rossi, «i pannelli si piazzano su strutture galleggianti che vengono posizionate su bacini, come quelli idroelettrici, e ancorate ai versanti in modo completamente rimovibile, senza l'impiego di strutture fisse. Il vantaggio è che sfruttano specchi d'acqua che non avrebbero destinazioni d'uso alternative e operano in luoghi già dotati delle infrastrutture per la connessione con la rete, necessitando, quindi, di meno lavori a supporto. Inoltre, coprendo i bacini d'acqua ne diminuiscono l'evaporazione dalla superficie coperta di circa l'80%, corrispondenti a più di 20mila metri cubi l'anno per ettaro, caratteristica questa molto utile soprattutto se il bacino è utilizzato per l'irrigazione, e rallentano la formazione di alghe, perché l'acqua si scalda meno coi raggi del Sole. Infine, i pannelli operano a temperature inferiori, cosa che li rende più efficienti». . Batterie rigeneranti. Da quando si è iniziato a puntare sulla mobilità elettrica si è posta anche la questione di cosa fare delle batterie al litio esauste, che contengono anche elementi come manganese, cobalto e nichel. «Prima che si arrivi a dover riciclare attraverso processi chimici i vari componenti della batteria per utilizzarli in altre totalmente nuove (processo certamente utile, ma anche complesso, ndr), le batterie usate sulle auto possono avere una seconda vita», spiega Rossi. «Bisogna pensare che per garantire l'accelerazione e la velocità tipiche di un'auto, le batterie devono fornire prestazioni elevatissime e quando una batteria di un'auto raggiunge il suo fine vita ha ancora caratteristiche adeguate e utili per accumulare e distribuire energia in altre applicazioni  meno stressanti: per questo i pacchi batteria usati delle auto, che hanno una capacità tipica di 70-100 chilowattora ciascuno, possono essere integrati in sistemi che raggiungono vari megawattora». Il problema però è che le batterie sono state usate e usurate in modo diverso e dunque per farle funzionare insieme c'è bisogno di un'integrazione molto avanzata: «Il software che gestisce il sistema di accumulo integrato sfrutta specifici algoritmi per ottimizzare l'utilizzo dei vari moduli tenendo conto del relativo stato di usura e facendoli funzionare in modo ottimale». È stato così che Enel ha realizzato il progetto Pioneer, cofinanziato dalla Commissione europea attraverso l'Innovation Fund e realizzato insieme ad Aeroporti di Roma e Fraunhofer Institute, per dotare l'aeroporto di Fiumicino entro il 2025 di uno tra i più grandi sistemi di stoccaggio energetico con batterie di seconda vita a livello europeo: più di 700 pacchi batteria di tre differenti case automobilistiche, con una capacità complessiva di 10 MWh, che accumuleranno e gestiranno l'energia rinnovabile prodotta da un impianto fotovoltaico da circa 30 MW. Boiler a sabbia. L'elettricità però non è tutto. L'energia assume tante forme e quella elettrica non è l'unica utile all'uomo. Ci sono varie industrie, come quelle di processo (per esempio quelle alimentari tipo i caseifici o quelle chimiche, metallurgiche o ancora di produzione di carta e cellulosa) che hanno bisogno di calore anziché elettricità. E se fino a ieri per ottenerlo si bruciava gas naturale, oggi esistono soluzioni alternative più sostenibili che prevedono l'accumulo di calore generato da resistenze elettriche in masse solide ad alta temperatura, per poi riutilizzarlo per produrre vapore di processo, come è il caso del sistema chiamato MGTES realizzato dal Gruppo Magaldi, che accumula il calore generato da elettricità ricavata da impianti rinnovabili in un letto di sabbia. «Il funzionamento è simile a quello di un boiler, solo che la resistenza elettrica non scalda acqua come nelle nostre case, ma sabbia», spiega Rossi. «Il letto di sabbia, a forma di parallelepipedo, viene fluidizzato con aria fino a raggiungere un regime bollente che gli permette di assorbire o rilasciare calore molto velocemente. Nella fase di carica il letto viene riscaldato fino a oltre 600 gradi tramite resistenze elettriche alimentate con energia rinnovabile. In fase di scarica il calore del letto viene trasferito all'acqua convogliata in tubi scambiatori immersi nel letto stesso. Quest'ultima arrivando a ebollizione genera vapore utilizzabile nei processi industriali». La prima applicazione di questa energia termica verde sarà a inizio 2025 per un'industria alimentare e prevede la costruzione di un impianto fotovoltaico da 2,5 MW e di un impianto MGTES da 80 tonnellate all'ora di vapore, con capacità di accumulo pari a circa 9 MWh termici e con un risparmio di CO2 di oltre 500 tonnellate l'anno. Dalla rete alle case. «Attraverso questi progetti, frutto di un percorso di innovazione con obiettivi di breve, medio e lungo periodo, puntiamo a cogliere le opportunità derivanti dalle nuove tecnologie», continua Rossi. «Questo percorso richiederà una forte evoluzione anche sulle reti di distribuzione per connettere  sempre più impianti di generazione rinnovabile, gestire al meglio i flussi di energia e garantire efficienza e affidabilità.  La digitalizzazione capillare delle nostre reti sarà un fattore determinante. Per questo stiamo potenziando l'intelligenza su tutti i nodi di rete. Per esempio, le nuove cassette stradali (da cui partono i collegamenti per i clienti finali, ndr):  più robuste e meno soggette a manomissioni, sono più facili da monitorare e permettono la raccolta di una serie di dati con cui migliorare la gestione della rete e risolvere in tempi più rapidi i guasti e le emergenze, in molti casi senza la necessità che una squadra di tecnici sia costretta a raggiungere fisicamente la cassetta stessa». .
Autore
Focus.it

Potrebbero anche piacerti