“Ridurre le porzioni non è nuovo, ma qui siamo davanti a qualcosa di diverso: il vero rischio è la sarcopenia”: l’allarme dell’esperta per il boom di “mini-menù” per chi assume farmaci dimagranti
- Postato il 27 dicembre 2025
- Salute
- Di Il Fatto Quotidiano
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Negli Stati Uniti – e ora timidamente anche in Europa – i ristoranti stanno adattando il menu a una nuova tipologia di cliente: chi assume farmaci agonisti del recettore GLP-1 (semaglutide e tirzepatide, noti per ridurre in modo significativo il senso di fame e commercializzati coi nomi rispettivamente di Ozempic e Mounjaro) e che fatica a sostenere un pasto completo. Nascono così i “mini-menu”: micro-porzioni pensate per appetiti ridotti, composte da piccoli assaggi ad alta densità di gusto ma basso volume. Si va da mini-burger da due bocconi a mezze porzioni di pasta, ciotoline monodose di cereali e verdure, dessert formato “mignon” e perfino cocktail alleggeriti per stomaci che si svuotano lentamente.
Un’offerta accattivante per chi teme sprechi o si sazia in fretta, ma che può far passare l’idea che “mangiare meno” equivalga automaticamente a “mangiare meglio”. Dietro questa tendenza, però, possono nascondersi squilibri nutrizionali: proteine insufficienti, micronutrienti che non raggiungono la soglia minima, perdita di massa muscolare e un metabolismo che, invece di migliorare, si indebolisce. Per capire quali rischi reali corre chi sostituisce i pasti con mini-porzioni – soprattutto se assume agonisti recettoriali GLP-1 – abbiamo intervistato la professoressa Annamaria Colao, già Presidente Sie (Società italiana di endocrinologia) e professore ordinario di Endocrinologia e malattie del metabolismo, cattedra Unesco di Educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile, università Federico II di Napoli.
“Ridurre le porzioni non è nuovo. Ma qui siamo davanti a qualcosa di diverso”
L’uso dei farmaci GLP-1 riduce l’appetito e porta molti pazienti a consumare mini-pasti o porzioni molto ridotte: quali sono i principali rischi nutrizionali che osserva in chi mangia troppo poco, troppo spesso e in modo non bilanciato?
“La riduzione delle porzioni è una pratica vecchia. Qui però parliamo di una modalità completamente nuova, legata a farmaci che riducono in modo molto specifico il senso della fame. Non riguarda solo l’obesità, ma anche molte altre situazioni cliniche. Senza una guida medica, il rischio è di sbilanciare l’alimentazione. È fondamentale che il piano nutrizionale sia individuale: il digiuno prolungato non è indicato, molto meglio mangiare più volte al giorno cibi corretti dal punto di vista nutrizionale. Se parliamo di ‘mini-menu’ come rielaborazione economica del mercato della ristorazione, non vedo un vero rischio di sbilanciamento, purché questo tipo di cibo resti una scelta occasionale e non sostituisca il consumo quotidiano di verdura, frutta, cereali integrali e i cardini della dieta mediterranea”.
“Il vero rischio è la perdita di massa muscolare e la sarcopenia”
Una dieta basata su porzioni minime può facilitare il dimagrimento, ma quanto aumenta il rischio di perdere massa muscolare, proteine e micronutrienti essenziali? Quali segnali dovrebbero far scattare un allarme clinico?
“Una restrizione calorica importante e prolungata, se il comparto proteico non è adeguato, porta a ridurre la massa muscolare. E questo, alla lunga, significa sarcopenia. La massa muscolare è fondamentale non solo per il metabolismo degli zuccheri, ma anche per la salute delle ossa: meno muscolo significa più rischio di fratture da fragilità.
Esistono vere e proprie patologie da carenza proteica, le vediamo per esempio nei bambini di aree povere del mondo. Per evitarle, bisogna garantire almeno un grammo di proteine per chilo di peso corporeo al giorno. Non parliamo di un grammo di carne o legumi, ma di proteine effettive, per cui le porzioni dovrebbero essere di circa 200-300 g di un piatto proteico. Chi affronta una terapia con agonisti recettoriali GLP-1 deve essere seguito da un medico che associ alla terapia un percorso nutrizionale e di esercizio fisico calibrato. Così si evitano carenze”.
“Giovani, anziani e diabetici: le categorie più vulnerabili”
Se l’assunzione di cibo scende sotto il fabbisogno reale per effetto del farmaco, quali squilibri metabolici possono comparire nel medio periodo? Ci sono categorie di persone per cui i mini-pasti sono particolarmente sconsigliati?
“A milioni di pazienti trattati non vediamo carenze quando il protocollo è seguito da mani esperte. Il problema nasce con il fai-da-te: c’è chi può rimanere quasi tutta la giornata senza mangiare.
Le categorie più vulnerabili sono i diabetici, che hanno già uno squilibrio metabolico; i giovani, perché la loro macchina biologica è ancora in formazione; gli anziani, più esposti alla perdita di massa muscolare; e naturalmente le donne in gravidanza o allattamento, per le quali questi farmaci non sono indicati.
In assenza di diagnosi e analisi individuali, non si può valutare il rischio reale. È essenziale che la terapia non venga gestita in autonomia”.
“I mini-menu non devono sostituire il cibo quotidiano”
Dal suo punto di vista, quanto è pericoloso normalizzare i ‘mini-menu’ nella vita quotidiana?
“I mini-menu sono spesso cibi che non rappresentano il massimo dal punto di vista salutare. Possono entrare nella vita quotidiana solo come cibo sociale, non come fonte di energia per l’organismo. Se utilizziamo i farmaci agonisti GLP-1 in un regime medico ben strutturato – terapia nutrizionale individuale, esercizio fisico, controlli regolari – i rischi non ci sono. Nel fai-da-te, invece, è impossibile escludere squilibri o eccessi di restrizione calorica. Serve un medico che valuti profilo fisiologico, necessità nutrizionali e metabolismo della persona”.
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