Reportage culturale dalla Corea del Sud. Mostre, biennali e musei tra spiritualità e irrazionale
- Postato il 1 novembre 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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In un tempo dominato dal linguaggio dell’algoritmo e dall’onnipresenza del dato, la tredicesima edizione della Seoul Mediacity Biennale nel Museum of Modern Art della capitale sudcoreana, intitolata Séance: Technology of the Spirit, interroga la dimensione spirituale, inafferrabile e spesso rimossa dal discorso contemporaneo, che ritorna come necessità di senso, come domanda sul rapporto fra umano, tecnologia e mondo. Il termine séance, che evoca la seduta spiritica, qui si fa metafora di un’operazione collettiva di ascolto in cui la tecnologia, non solo strumento di dominio, offre possibilità di contatto con ciò che sfugge alla razionalità. Pensata come una rete di esperienze percettive, la Biennale propone un attraversamento che unisce pratiche artistiche, ricerca antropologica e riflessione filosofica, suggerendo che l’arte oggi non può limitarsi alla critica del visibile, ad analizzare le strutture del potere o dei media, ma deve esplorare la soglia tra conoscenza e intuizione, presenza e assenza.
Nella Seoul Mediacity Biennale l’arte unisce mondi diversi
L’arte deve costruire ponti tra discipline, tra pensiero simbolico e intelligenza artificiale, tra ecologia e metafisica, tra ritualità e processi cognitivi. In questa chiave, le opere esposte intrecciano suono, video, installazione e dispositivi interattivi che funzionano come “tecnologie dell’anima”, mezzi che amplificano il pensiero, lo destabilizzano, o lo restituiscono alla sua dimensione rituale. Alcuni artisti lavorano sul linguaggio come codice magico, altri sulle vibrazioni sonore come forme di trance o comunicazione cosmica; altri ancora incrociano cosmologie indigene e intelligenza artificiale, in una tensione continua tra memoria arcaica e immaginari digitali. L’effetto è quello di una rassegna che non contrappone scienza e spiritualità, ma le riconduce a un orizzonte comune di percezione con l’aiuto della tecnologia come estensione del sensibile. Dunque, non una fuga nell’occulto, ma un tentativo di riconciliare quanto la modernità ha separato nel dualismo spirito / macchina.

La svedese Hilma af Klint collega Corea e Italia
Con sorprendente sincronia, qualche mese dopo e a molte longitudini di distanza, anche la mostra Fata Morgana: memorie dall’invisibile, a cura di Massimiliano Gioni, Daniel Birnbaum e Marta Papini, in corso a Milano dal 9 ottobre, sembra muoversi nella stessa direzione rivelando che la domanda di spiritualità non è regressiva, ma evolutiva e sta ritornando come chiave di lettura del contemporaneo. Partendo, sia in Corea del Sud sia in Italia, da comuni punti di avvio, per esempio, Hilma af Klint (Solna, 1862 – Danderyd, 1944) che compare nel dibattito artistico mondiale con retrospettive in grado di restituirne la dimensione profetica senza mitizzarla. Ancora in Corea, con significativa concomitanza, questa volta al Moca – Museum of Contemporary Art di Busan, la personale dell’artista svedese, Hilma af Klint: Proper Summons, si distingue per l’ampiezza e la cura filologica nel tratteggiare la logica interna dei cicli dell’artista o dei disegni botanici, spirituali anch’essi nel passaggio da reliquie vegetali a tessiture oniriche.
Il simbolismo trionfa ancora
In definitiva, anche mettendo da parte la rivisitazione del misticismo nordico, resta il dato che l’esaurirsi della fiducia nel progresso lineare e nella tecnologia come promessa di emancipazione abbia riaperto lo spazio del simbolico. Molti artisti sono spinti a cercare sistemi di pensiero che riconnettano umano, natura e cosmo, superando le gerarchie della modernità occidentale. La sfera spirituale diventa così una pratica epistemologica: non una fede, piuttosto un modo di restituire complessità all’esperienza, di ascoltare ciò che sfugge ai codici della rappresentazione.
“Séance: Technology of the Spirit” a Seoul ridefinisce ciò che è razionale
In questo senso, Séance: Technology of the Spirit appare come una mostra chiave: senza forzare un ritorno all’irrazionale suggerisce una ridefinizione del razionale stesso, come campo aperto al mistero e all’intuizione. Con la curatela di Anton Vidokle, Hallie Ayres e Lukas Brasiskis, vede la partecipazione di circa 50 tra artisti e collettivi che vanno dai pionieri dell’arte medium-mistica (Georgiana Houghton, Hilma af Klint, Emma Kunz, Onisaburo Deguchi, Nam Jum Paik) fino alle numerose figure contemporanee – con passaggi dovuti anche a Joseph Beuys (Krefeld, 1921 – Dusseldorf, 1986) – la cui idea dell’arte come guarigione e trasformazione si inserisce magistralmente nel concept.
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Le opere della mostra “Séance: Technology of the Spirit”
Fra le opere che incidono con forza c’è Opening Blooming from the Center; Golden Flower of Potential di Byungjun Kwon (Seoul, 1971), una grande installazione che mescola elementi robotici, stampa 3D e ornamenti tradizionali per evocare figure di sciamani tecnologici, in una soglia tra macchina e rito. Anche il lavoro Sway di Jane Jin Kaisen (Jeju Island, 1980) invoca creature liminali, i dokkaebi, che attraversano confini biologici, culturali, di genere, per mostrare come le narrazioni spirituali tradizionali non siano solo patrimonio del remoto, ma risorsa dell’oggi. Struggente l’installazione partecipativa Fantôme di Zai Nomura (Hyogo, 1979), una strumentazione per rivelare immagini dei defunti in una vasca di acqua connessa a una stampante a getto d’inchiostro. Caricando le immagini sul sito web dell’opera, chiunque in tutto il mondo può partecipare a questo progetto trasformando la memoria dei propri cari in un flusso condiviso.
La Seoul Mediacity Biennale ascolta lo spirito del nostro tempo
Seoul anticipa il ritorno del tema spirituale come risposta a un’inquietudine più profonda. In un mondo che consuma idee e pianeta con la stessa voracità, l’arte che evoca l’invisibile, il mistero e la sacralità, offre tempo per il dubbio. Inoltre, spinge la ricerca verso estetiche comprensive di riti e presenze, ricorrendo alla multidisciplinarietà per tenere a bada la sfida tecnologica. Senza fughe nel trascendente Séance: Technology of the Spirit chiede allo spettatore di spostare il proprio orizzonte in un territorio, compreso tra meditazione e sperimentazione visiva, in cui l’arte sta rivedendo i propri assetti. Un atteggiamento che, abbiamo visto, ha già attivato risonanze storiche e riconoscimenti tardivi, come nel caso della citata Hilma af Klint. Emblema di una pratica che ha atteso decenni per essere compresa non come curiosità esoterica, ma in quanto nodo vivo di una genealogia non lineare dell’arte moderna. Resta l’interrogativo di fondo, cosa chiediamo all’arte quando la spiritualità torna a interrogare il presente? In Corea del Sud, paese simbolo della modernità ipertecnologica e di una popolazione in corsa verso il futuro, Séance parla di una tecnologia che promette più introspezione e meno progresso, invita a ritrovare lo spirito disperso nella rete e a ricucire la distanza tra innovazione e interiorità.
Marilena Di Tursi
13° Seoul Mediacity Biennale. Séance: Technology of the Spirit
SEOUL MUSEUM OF ART
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Hilma af Klint – Proper Summons
BUSAN MUSEUM OF CONTEMPORARY ART
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