Renzi fa le pulci a Giorgia per i regali. Lui li riciclava con i suoi parenti
- Postato il 6 maggio 2025
- Di Panorama
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Ha fatto notizia l’inventario dei cadeaux istituzionali ricevuti da Giorgia Meloni da quando guida il governo. Una notizia che ha acceso un faro sulla «stanza delle meraviglie», al terzo piano di Palazzo Chigi, riportando, ordinatamente catalogati, i 278 regali che Giorgia non può tenere per sé, né regalare. È la legge. Si tratta di oggetti preziosi, esotici, kitsch o solo simbolici. Si va dalla parure di gioielli libica al tablet di Zelensky, dai cosmetici orientali ai tappeti persiani, fino alla statuetta iconica del presidente argentino Javier Milei, raffigurato con la celebre motosega elettrica. Compreso il dono più appariscente, un paio di scarpe in pitone blu con tacco dorato, e il celebre foulard nero disegnato dal premier albanese Edi Rama. Le disposizioni che regolamentano la materia sono state introdotte nel 2007 dal governo di Romano Prodi. Il 20 dicembre venne emanato un decreto del presidente del Consiglio dei ministri con l’obiettivo di disciplinare il trattamento dei cosiddetti doni di rappresentanza ricevuti dai componenti del governo e dai loro congiunti. Quelli che superano i 300 euro di valore vanno consegnati al cerimoniale di Palazzo Chigi e restano a disposizione della Presidenza del Consiglio. Ma, soprattutto, devono essere inventariati. Ed è questo il punto. A chiedere ufficialmente la lista dei regali, con una interrogazione, è stato il deputato Francesco Bonifazi di Italia viva. Ovvero il partito fondato e guidato da Matteo Renzi, l’unico presidente del Consiglio italiano ad aver avuto una gestione dei regali istituzionali descritta come opaca perfino in una sentenza civile. Se c’è un premier che con i doni istituzionali ha fatto (molto) parlare di sé è proprio l’ex Rottamatore. Un elenco dei doni ricevuti da Renzi esiste, ma appare come lacunoso. Solo 15 regali sono ufficialmente rimasti a Palazzo Chigi in 34 mesi di governo. Si va da un quadro a olio arrivato dal Mozambico a un portacandele in legno dono del primo ministro serbo al ritratto dello stesso Renzi regalato dal presidente della Repubblica del Congo. E poi ci sono un modellino aereo della Turkish airlines, una scultura in bronzo raffigurante i carabinieri nella tormenta. Insomma, davvero poca roba. Nel 2018 La Verità riuscì a ricostruire ciò che in quella lista non sarebbe mai entrato: oggetti che da Roma finirono a Rignano sull’Arno, nella sede della Eventi 6, l’azienda di famiglia dei Renzi (una specie di quartier generale di babbo Tiziano e mamma Laura). Alcuni, secondo le testimonianze, sarebbero stati utilizzati per arredare l’appartamento della figlia Matilde Renzi e del marito Andrea Conticini, proprio sopra gli uffici della ditta. Una testimone aveva raccontato a una nostra fonte che il magazzino era diventato un suk privato dove parenti e collaboratori dei genitori di Matteo avrebbero preso e portato via ciò che volevano con il consenso di babbo (Natale) Tiziano. Si va dall’ingombrante e un po’ improbabile scultura ricevuta da Renzi in Arabia Saudita, con palme placcate in oro, valutata 1.000 euro a uno spadino dei cadetti dell’Accademia di Modena dal valore non trascurabile. C’era poi una piccozza dorata, testimonianza di un viaggio istituzionale in Valle d’Aosta. Su un sito specializzato in alpinismo si trova ancora la notizia della consegna: «Il presidente della Regione Valle d’Aosta Augusto Rollandin ha regalato al premier Renzi una piccozza d’oro Grivel».
E ancora: un piccolo tappeto dedicato a Istanbul e un elegante scendiletto in stile persiano sulle tonalità del blu, con impresso il nome di Iznik, città dell’Anatolia nota per le ceramiche e per i prodotti tessili. Ma c’era anche la filigrana consegnata all’ex premier dai dipendenti dei Laboratori nazionali del Gran Sasso, in Abruzzo, una delle quattro sedi dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. Gli scienziati regalarono all’ex premier una riproduzione del rosone centrale della basilica Santa Maria di Collemaggio all’Aquila. La chiesa è stata danneggiata dal sisma del 2009 e i restauri si sono conclusi nel 2017. Ma evidentemente Renzi non colse l’importanza del presente. C’era perfino un fermacarte commemorativo del summit di Malta sull’immigrazione finito sul comodino di un pensionato toscano. Come era arrivato lì? Ce lo aveva portato Simona Sette, collaboratrice domestica dell’anziano, la quale lo aveva ricevuto da suo marito, Carlo Ravasio, uomo di fiducia dei genitori di Renzi e già condannato con entrambi in un processo per bancarotta e false fatture a 1 anno e 9 mesi. In pratica, i regali di Stato viaggiavano come pacchi di Natale, e alcuni avevano persino inciso il nome di Matteo sopra. I regali portati via da Palazzo Chigi sembravano essere entrati in un giro di omaggi fuori controllo e di questi iniziarono a girare per Rignano e Comuni limitrofi. La storia finì in tribunale. Matilde Renzi e il marito fecero causa alla Verità. Ma la sentenza fu chiara: Matilde e consorte «non hanno negato che determinati oggetti, ricevuti dall’allora premier Renzi come omaggi di Stato, siano stati custoditi in un luogo diverso dal caveau romano, ovvero che si trovavano a casa di un terzo soggetto, pensionato fiorentino, sol perché la sua collaboratrice domestica li aveva a sua volta ottenuti da suo marito, tale signor Ravasio, che a sua volta li aveva ottenuti da un componente della famiglia Renzi». Emerse pure che Ravasio, dopo gli articoli, «telefonò alla signora (la moglie, ndr) perché si adoperasse per recuperare gli oggetti a casa del pensionato per riconsegnarli a Tiziano Renzi». Matilde Renzi e il marito fornirono addirittura al giudice «una lettera della Eventi 6 contenente una contestazione di illecito disciplinare al signor Ravasio che con una lettera manoscritta ammetteva una sua responsabilità». Il giudice, quindi, certificò che «il signor Ravasio aveva gestito come propri gli oggetti che si trovavano a Rignano sull’Arno, quando avrebbero dovuto trovarsi a Roma, nel caveau dedicato alla loro custodia». Il grottesco si fece tragicomico quando si scoprì che, una volta scoppiato il caso, oltre all’azione disciplinare nei confronti di Ravasio, i Renzi avrebbero ordinato di gettare gli avanzi nei bidoni della spazzatura. Oggi fa quasi sorridere che sia proprio Bonifazi a sollevare il presunto caso dei regali della Meloni (regolarmente conservati a Chigi in attesa di destinazione). Infatti il parlamentare non è solo amico personale dell’ex sindaco, ma pure uno degli esponenti di spicco del partito di Renzi, che con i regali istituzionali deve aver avuto più di un problema, visto che proprio nella stessa sentenza civile si dava atto che era «stata aperta un’indagine conoscitiva interna di Palazzo Chigi».
Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ha colto la palla al balzo: «Complimenti a Giorgia Meloni per la trasparenza. Non ricordiamo una tale chiarezza in passato. Presenteremo un’interrogazione per chiedere che siano pubblicati anche i regali ricevuti da Renzi, Gentiloni e Conte, al fine di valutare se vi siano anomalie in termini di numero di doni ricevuti e soprattutto di valore degli stessi rispetto all’elenco pubblicato dalla Meloni». A Bignami risponde l’omologa di Italia viva al Senato, Raffaella Paita: «Chiederemo che siano pubblicate anche tutte le fatture e i bonifici dell’abitazione privata della premier, impegnandoci a fornire tutte le fatture e i bonifici dell’abitazione privata di Renzi». Ma sarebbe meglio non andare a rivangare troppo nel passato. Anche perché, per esempio, Andrea Bacci, ristrutturatore della villa di Renzi a Pontessieve, ex socio di babbo Tiziano nonché storico collaboratore di Matteo, gratificato con diversi incarichi pubblici, già nel 2015 a Panorama aveva confessato di non aver conservato nessuna delle ricevute di pagamento dell’ex premier.