Regno Unito e India: firmato lo storico accordo di libero scambio
- Postato il 1 settembre 2025
- Di Panorama
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Il documento ufficiale è stato siglato a fine luglio, dopo tre anni di intense trattative, in cui le negoziazioni avevano rischiato di collassare più di una volta. Alla fine però, Regno Unito e India sono riusciti a raggiungere l’accordo commerciale di libero scambio – in cui molti neppure credevano più – che apre nuove vie per l’economia britannica segnando al contempo la fine di decenni di protezionismo per il Paese guidato dal 2014 dal premier Narendra Modi. Sul piatto, scambi che potrebbero portare a una crescita economica di 4,8 miliardi di sterline (5,5 miliardi di euro), che vanno dal mercato automobilistico di lusso a quello alimentare, dall’abbigliamento ai gioielli, fino ai prodotti farmaceutici.
Settori interessati e riduzione dei dazi
Incentivato dalla guerra dei dazi di Donald Trump, che ha costretto persino gli storici alleati britannici a pensare a un’economia meno vincolata a quella americana, il nuovo accordo, è anche il terzo più importante siglato dal Regno Unito, dopo quello con Australia e Giappone. Gli effetti non si vedranno subito, dato che quanto concordato tra i due governi entrerà in vigore soltanto tra un anno, ma è certo che le aziende di alcuni settori potranno beneficiare di dazi molto più bassi, come nel caso delle auto di fascia alta e di alcuni superalcolici.
Gin, scotch e whisky, importati in India dal Regno Unito vedranno dimezzate le aliquote che passeranno inizialmente dall’attuale 150 al 75 per cento, per scendere fino al 40 per cento nel prossimo decennio. Le tasse per le quattro ruote diventeranno un decimo di quelle odierne (ma varrà solo per una quota delle vetture vendute), così come saranno significativamente abbassati i dazi sui cosmetici, alcuni prodotti alimentari tra cui salmone, carne d’agnello, cioccolato e biscotti, dispositivi elettrici e medici e prodotti aerospaziali.
Benefici attesi e prospettive economiche
Per quanto riguarda le importazioni dall’India, il Regno Unito ha acconsentito ad azzerare le imposte d’importazione su prodotti alimentari congelati come gli scampi e su abbigliamento e gioielli. Secondo il governo britannico, il nuovo accordo siglato con l’India vale, sulla carta, un aumento delle transazioni commerciali di circa 25 miliardi (30 miliardi di euro) entro il 2040, che porterebbero a una crescita economica di ulteriori 4,8 miliardi di sterline.
Cifre da prendere con le pinze, visto che si tratta di previsioni e che comunque costituiscono una percentuale ridotta dell’economia inglese globale che lo scorso anno valeva 2,8 trilioni di sterline, ma non va sottovalutato che l’India si presta a diventare nei prossimi anni la terza maggiore potenza mondiale ed è questa la prospettiva che più interessa a Downing street.
Una strada tortuosa verso l’intesa finale
Certo, su stessa ammissione dei principali protagonisti delle negoziazioni, la strada per arrivare all’abbraccio tra Keir Starmer e il leader indiano Modi è stata costellata di passi falsi, imprevisti e fasi di stallo. Le trattative, iniziate dai Conservatori, avevano subìto battute d’arresto importanti sotto il mandato di Rishi Sunak, considerato un leader a termine, troppo debole per offrire garanzie di affidabilità alla controparte indiana. L’intervento a gamba tesa nel 2022 dell’allora ministro degli Interni Suella Braverman, preoccupata delle conseguenze del flusso migratorio derivante da un eventuale accordo indiano, aveva provocato una lunga fase di attesa.
Anche l’ex leader del Labour, Jeremy Corbyn, non aveva mai goduto della fiducia degli indiani, essendosi dimostrato troppo vicino alle posizioni di Pakistan e Kashmir, ma segnali politici importanti da parte del governo di Modi erano giunti già quando i laburisti si trovavano all’opposizione. Sia Jonathan Reynolds, firmatario dell’accordo insieme al collega indiano Piyush Goyal, che l’attuale ministro alla Difesa David Lammy, si erano detti disposti a proseguire gli scambi iniziati dai Tories.
Non stupisce quindi che, dopo l’ascesa di Starmer al potere e in seguito a un incontro avvenuto a novembre 2024 tra il premier britannico e Modi, ai margini del G20 in Brasile, le negoziazioni siano riprese ufficialmente nel febbraio di quest’anno, per concludersi a maggio con Reynolds, Goyal e le loro rispettive squadre, davanti a una coppa di gelato in un giorno di sole a Hyde Park.
Diplomazia creativa e punti critici
Dettaglio molto poco formale, che rende bene l’idea di quanto queste trattative siano state diverse da tutte quelle avute prima con altri Paesi. «Discutere con l’India non è come trattare con l’Australia o il Canada», ha spiegato uno dei componenti del team britannico, «si tratta di costruire un sistema di relazioni personali complicato. La gente vuole guardarti negli occhi e capire se si può fidare».
Ci sono stati momenti di creatività inattesa, come quando Goyal ha confessato di essere un grande fan della serie tv Yes Minister e gli inglesi gli hanno fatto avere una nota autografata da parte di uno dei suoi autori. E ci sono stati momenti di tensione allentati da una sessione di yoga improvvisata nel corridoio adiacente alla stanza dei colloqui.
Mobilità, lavoro e critiche interne
Che sono proseguiti così a lungo perché il governo di Nuova Delhi ha sempre avanzato pretese importanti sul fronte della mobilità delle persone, chiedendo permessi speciali a lungo termine per i professionisti che andavano a lavorare in Inghilterra e per gli studenti che vi si recavano a studiare. Richieste che il governo Starmer ha accolto soltanto in minima parte, ben consapevole che proprio su questo punto sarebbe stato attaccato dall’opposizione, ma anche dai sindacati, timorosi che l’arrivo di ingente forza lavoro indiana nel Paese possa intaccare il già precario equilibrio raggiunto negli ultimi mesi per molte categorie di lavoratori nazionali.
Se quindi l’accordo darà, in futuro, accesso al suolo inglese ad alcuni professionisti come architetti, chef, istruttori di yoga e musicisti a contratto che potranno ottenere fino a 1.800 permessi all’anno, nella stesura finale non sono invece previste scorciatoie per chi assume lavoratori indiani e Downing Street ha già sottolineato che non vi sarà alcun cambiamento nelle politiche migratorie attuali.
Sarà però operativa un’esenzione di tre anni sui contributi dovuti da parte dei dipendenti indiani che lavorano nel Regno Unito, che invece si limiteranno a pagare quelli richiesti nella loro terra d’origine come già fanno altri lavoratori stranieri che operano in Inghilterra grazie ad accordi simili, sottoscritti con Stati europei e non.
«Questo non significa che i dipendenti indiani saranno d’ora in poi, forza lavoro più a buon mercato degli altri. Non ci saranno vantaggi fiscali nell’assumere un lavoratore indiano piuttosto che inglese, anzi sarà il contrario», ha dichiarato alla Bbc, il ministro Reynolds.
Parole che non rassicurano Tom Wills, direttore del Trade Justice Movement, secondo cui nel documento «non vengono incluse sufficienti garanzie a protezione dei diritti dei lavoratori, dell’ambiente e della salute pubblica».
Le prospettive geopolitiche per Londra e Nuova Delhi
Non c’è dubbio invece che l’intesa sia estremamente importante per l’India: il governo vede nel Regno Unito una porta d’accesso laterale al mercato europeo, che costituisce attualmente il suo più importante partner commerciale. Bruxelles e Nuova Delhi hanno inoltre manifestato l’intenzione di voler aprire una nuova fase negli scambi commerciali entro la fine di quest’anno.
Se l’accordo tra le due parti andasse a buon fine, anche Londra, che dopo la Brexit sta disperatamente tentando di riallacciare i rapporti disastrati con il mercato europeo, potrebbe ricavarne dei benefici.
Rimane ancora in sospeso la firma di un trattato di investimento bilaterale con l’India, a cui il governo britannico ambisce da tempo per gli evidenti vantaggi che ne ricaverebbe la City londinese. Le trattative continuano anche in questa direzione, ma per ora sembra improbabile che si raggiunga qualcosa di concreto.
Una cosa è infatti facilitare le importazioni e le esportazioni da entrambi i Paesi, un’altra è sottoscrivere un patto di mutua assistenza e protezione verso gli investimenti fatti da stranieri nell’ambito dei propri territori. A questo, sembra che l’India di Modi non sia ancora pronta.