Regista, scopritore di talenti e fondatore del Sundance, l’altra straordinaria carriera di Robert Redford
- Postato il 16 settembre 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
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Robert Redford, morto ad 89 anni nelle scorse ore, non è stato solo un memorabile e iconico attore tra i più amati al mondo. Il ragazzotto della California, che arrivò al successo quasi per caso nel 1969 recitando la parte di un fuorilegge – Sundance Kid – in Butch Cassidy, assieme a Paul Newman (pare che fu Newman oltretutto a volerlo con lui in scena, contrariamente al parere della produzione ndr), è stato anche un apprezzato e premiato regista, e ancora di più un coraggioso scopritore di talenti artistici e di azzardi produttivi grazie all’invenzione del Sundance Film Institute e del festival che da qui nacque.
Sono nove i film diretti da Redford dal 1980 con Gente comune, fino all’ultimo del 2012, Le regole del silenzio. Ed è da un Oscar, anzi quattro (film, regia, sceneggiatura non originale, attore non protagonista) che Redford inizia il suo percorso dietro la macchina da presa. Un dramma intimista, incentrato su quella che oggi definiremmo una famiglia disfunzionale, sconvolta dalla morte di uno dei due figli e nuovamente messa alla prova dal suicidio dell’altro figlio. Tecnicamente la regia di Redford è pressoché invisibile, tutta orientata invece a far emergere conflittualità, sofferenza e possibile rinascita, grazie all’apporto schivo e allo stesso tempo intenso dei genitori (Donald Sutherland e Mary Tyler Moore) con il problematico figliolo rimasto (Timothy Hutton).
Gente comune è un successo commerciale di grande rilievo (oltre novanta milioni di dollari d’incassi a fronte di sei milioni di budget) e lancia nuovamente Redford all’interno di un sistema dove non vuole fare sfracelli ma in cui porta progetti poco appariscenti, più defilati, di forte impronta politica. Proprio come Milagro (1988), uno di quei film indie tipicamente anni ottanta, incentrato sull’anima ambientalista di Redford, e sulla lotta degli abitanti di un paese del New Mexico che provano a resistere ad un ricco immobiliarista che vuole spodestare i contadini del luogo e costruire dei complessi residenziali e sportivi, se è il caso anche utilizzando la violenza “istituzionale”. Presentato al Festival di Cannes, Milagro è un film pieno di buone intenzioni, loachiano fino al midollo, che vede oltretutto un happy end di rara intensità e con il senno di poi altamente irreale (i cattivi vengono fatti fuggire dai buoni popolani).
Nel 1992 Redford ci riprova con In mezzo scorre il fiume. Pellicola dai toni sereni, vagamente calligrafica, è forse il vero trampolino di lancio di Brad Pitt come attore che in quell’anno farà una comparsata in Thelma e Louise. Nel 1994 è il momento di Quiz Show, un brillante apologo anni cinquanta sulla corruzione umana e di sistema attorno alla produzione televisiva nazionale e nella fattispecie alla pastetta tra sponsor privati e direttori di rete intenti a truccare un celebre quiz a seconda degli ascolti che i concorrenti suscitano negli spettatori, Sarà un idealista avvocato di una commissione del Congresso a scoprire il trucco e a far emergere il marcio tra le pieghe del passatempo più popolare della tv. È il Redford regista maturo, forse al suo meglio, che lancia nuovamente un messaggio politico forte attraverso un film di spessore, ancora una volta con interpreti di pregio (John Turturro e Ralph Fiennes, su tutti). Segue La Leggenda di Bagger Vance (2000) sorta di parabola morale dalle tinte favolistiche dove un golfista sopravvissuto alla prima guerra mondiale (Matt Damon) ritrova la voglia di vivere e giocare a golf grazie al supporto psicologico di uno strano caddie (Will Smith). Redford gioca con classe la carta del racconto più onirico e romantico, ma il pubblico questa volta non lo segue.
Il ritorno a tematiche di denuncia politica – Leoni per agnelli (2007) e The conspirator (2010) – non risollevano la carriera registica del nostro, ma lo portano ad un ultimo canto del cigno, quel La regola del silenzio, un dramma thriller finanche revisionista sui reduci della lotta armata antisistema anni settanta. Parallelamente all’attività di attore e regista, Redford ha compiuto una delle scelte più inattese e fruttuose, industrialmente controcorrente, fondando nel 1981 il Sundance Film Institute, vicino a Salt Lake City nello Utah. Come ricorda in queste ore Variety, “ciò che è iniziato come un modesto laboratorio di registi è diventato sinonimo della rivoluzione del cinema indipendente”.
Dalla fondazione infatti venne fatto ri-nascere il festival Sundance – fondato nel 1978 ndr – che negli anni novanta si è trasformato nell’evento cinematografico più importante per i registi emergenti, le piccole produzioni non delle major, e pure per parecchi distributori e infine emissari delle major stesse pronti ad acquisire titoli di nicchia. Sono tanti i registi che debbono a Redford e al Sundance praticamente tutta la propria carriera. Ne citiamo due, tra i tanti. Il primo è Damien Chazelle, che proprio al Sundance nel 2013 si fece conoscere con Whiplash, ancora in versione cortometraggio. Fu tra le montagne dello Utah che Chazelle incontrò i produttori interessati a sviluppare il corto in lungo, film che poi diventò un importante successo per la carriera del regista di La la land. Fu al Sundance che nel 1993 Paul Thomas Anderson si fece conoscere per un suo cortometraggio e lì ricevette il supporto produttivo per il suo primo lungo, Sydney. Fu sempre al Sundance che nel 1998 Darren Aronofsky portò il suo primo lungo Pi, costato 60mila dollari, vincendo il premio per la miglior regia, trampolino successivo di lancio per una importante e ricca carriera.
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