Referendum, prepariamoci a mesi di rissa su carriere e governance dei magistrati: cosa c’è da sapere oggi
- Postato il 1 novembre 2025
- Politica
- Di Blitz
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Mobilitiamoci: eccola la parola d’ordine che sarà protagonista da oggi fino al giorno del referendum sulla riforma della giustizia.
Da una parte il si che smentisce quanti ritengono che la separazione delle carriere violerà la Costituzione; dall’altra il no che accusa la maggioranza di voler sbarazzarsi di una magistratura che ha il solo obbligo di far rispettare la legge.
Saranno cinque mesi nei quali forse scomparirà dal vocabolario della politica il sostantivo amicizia. Non ci saranno sconti per nessuno, nemmeno per chi fino a ieri, pur essendo avversari, ci si poteva confrontare.
Nascono nuovi movimenti, fioriscono i comitati, si parla addirittura di partiti che avranno una vita breve: dureranno lo spazio di un mattino, il tempo di mettere in ginocchio coloro che non la pensano come te.
Nessun effetto dal referendum, lo dice Meloni

Giorgia Meloni sostiene che il governo non dovrà temere se il referendum le darà torto, Elly Schlein è preoccupata perchè nelle fila del suo Pd c’è qualche transfuga di prestigio che voterà in maniera diversa dalla segretaria.
La premier non lo dà a vedere, ma se il no prevalesse, i problemi da risolvere si raddoppierebbero. In via del Nazareno, si guarda al futuro con preoccupazione anche se ufficialmente l’ottimismo è di moda o, meglio, di facciata. I riformisti del partito non lo dicono apertamente, dribblano le domande troppo scomode, ma sono schierati con quanti vorrebbero far trionfare il si.
Dario Franceschini, Graziano Del Rio, Vincenzo De Luca, Goffredo Bettini sono personaggi che fanno tremare i polsi al vertice dei dem. Se, per caso, la Schlein dovesse uscire con le ossa rotte da questo vero e proprio conflitto, le possibilità di rimanere su quella poltrona si ridurrebbero notevolmente.
Una promessa mancata
In ugual misura, se la destra non riuscisse a vincere e la riforma dovesse naufragare, sarebbe un brutto colpo per la maggioranza che ha fatto della separazione delle carriere uno dei suoi credo.
Il presidenzialismo è stato messo da parte, il premierato traballa: se anche questa promessa fatta in campagna elettorale dovesse finire nel nulla si aprirebbe un contenzioso di non facile soluzione.
Il sindacato delle “toghe rosse” è scatenato. Cesare Parodi, il presidente dell’associazione nazionale dei magistrati ha i nervi a fior di pelle e non lo nasconde quando partecipa ai dibattiti che infiammano il momento. Non ha peli sulla lingua, alza la voce, punta il dito accusatore, non si capacita della guerra che si è aperta tra due poteri dello Stato.
Ha dalla sua parte una schiera di avvocati i quali ritengono che le prime vittime della riforma saranno proprio loro. C’è chi ricorda un convincimento di Paolo Borsellino il quale sosteneva che “separare le carriere avrebbe voluto dire spezzare l’unità della magistratura”
Tutti cercano negli annali della giustizia una frase, un proposito che porti acqua al proprio mulino. Ad esempio, alla Schlein ci si rivolge ricordandole quanto diceva suo nonno, Agostino Viviani convinto com’era dello strapotere dei pubblici ministeri.
Il ponte sullo Stretto torna ad essere uno degli argomenti su cui le parti si combattono. La decisione della Corte dei Conti dimostra “il ripetuto sconfinamento della magistratura”. “È vero il contrario”, si replica.”Quei giudici costituiscono la magistratura contabile e se non avessero preso posizione sarebbero venuti meno ai loro compiti”.
Quanto durerà questa pericolosissima divisione? Così dura, come è adesso, fino a che non si sapranno i risultati del referendum, ma conoscendo la caparbietà dei nostri uomini politici si andrà oltre perchè nessuno dirà che ha perso andando alla ricerca di cavilli che possano dimostrare il contrario. Giorgia Meloni la dovrà smettere di volere le mani libere e di comandare in lungo e in largo: eccola l’accusa che piace molto all’opposizione.
In un editoriale di stamane apparso sulla prima pagina della “Repubblica” si scrive che la premier la deve smettere di confermare le bugie bocciate dai fatti. Soprattutto, il suo non deve essere considerato un governo stabile “in grado di affrontare le tante difficoltà meglio delle altre Nazioni”.
Se, al contrario, si dà un’occhiata ai sondaggi, ci si rende conto che la maggioranza degli italiani è ancora con lei se è vero, come è vero, che oltre il settanta per cento di chi dovrebbe andare a votare è dalla sua parte.
Dal Colle, il presidente della Repubblica non apre bocca, non può prendere posizione a proposito perché è anche il presidente del Consiglio superiore della Magistratura, un organismo che entra di prepotenza nella riforma. Si va alla ricerca di precedenti e si legge un unico intervento che fece ai tempi del referendum con Matteo Renzi strabattuto.
Mattarella disse: “Il confronto si svolga sul merito della riforma”. Purtroppo non sarà mai così e si andrà avanti per mesi a leggere solo i peccati degli altri.
La notizia che rende molto allegri gli italiani riguarda l’agenzia delle entrate. Saranno soprattutto i romani a balzare sulla sedia e ad esultare, perché quell’organismo con cui non vorremmo mai nulla a che fare dovrà pagare un debito di 24 milioni al comune di Ciampino. Si, lo ripetiamo 24 milioni. È proprio vero che la vendetta è un piatto che va servito freddo.
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