Recruiter in Olanda. “Gli italiani hanno una marcia in più, ma pensano il contrario. Qui stipendi più alti, sarei dovuta partire prima”
- Postato il 2 novembre 2025
- Cervelli In Fuga
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Riconoscimento del proprio lavoro, stipendi alti, fiducia, aiuto per chi volesse avere figli, dialogo tra manager e dipendenti, sono alcuni dei punti di forza del mercato del lavoro in Olanda rispetto quello italiano. Perché nel nostro Paese tutto questo manca?”. Se lo domanda Roberta Basili, originaria di Terni, oggi career coach nei Paesi Bassi dove aiuta gli expat italiani a trovare un impiego adeguato. “Ho sempre voluto fare la recruiter: spiegare i processi, preparare un candidato prima di un colloquio, far capire i motivi per cui non lo passava e cosa fare per riuscirci la prossima volta. Credo che noi italiani sul lavoro abbiamo una marcia in più rispetto ai nostri colleghi europei. E spesso neanche lo sappiamo”.
Roberta nel 2007, dopo la laurea in Scienze della Formazione all’Università di Perugia raggiunge Genova “perché in Umbria non trovavo un lavoro”. Lì arriva a lavorare per un’azienda che si occupa di trasporti marittimi e della costruzione di navi container in Corea del Sud. “In un viaggio in Corea – racconta a ilfattoquotidiano.it – ho conosciuto una collega che faceva il mio stesso lavoro. Confrontando la cultura del lavoro in cui si trovava, l’ambiente multiculturale, e capendo le differenze considerevoli nello stipendio e nei benefit, ho iniziato a sognare l’estero ancora di più”. E quando l’azienda le offre un contratto a tempo indeterminato decide di rifiutarlo per darsi una possibilità altrove: “Volevo qualcosa che avesse un impatto più significativo sulla vita delle persone e allineato con le mie competenze”. Il suo ragazzo dell’epoca aveva trovato lavoro nella Svizzera francese, così Roberta decide di raggiungerlo, stabilendosi in Valle d’Aosta. Cerca lavoro nel cantone dove si parla italiano, lo trova come responsabile HR e Recruiter e l’azienda le paga anche una formazione. “Riuscivo a mettere da parte qualcosa, fare più vacanze l’anno ed avere uno stile di vita con meno pensieri. E questo senza che nessuno si aspettasse in automatico del lavoro straordinario”.
L’azienda in cui Roberta lavora, però, dopo alcuni anni decide di delocalizzare in Asia e nel 2019 si trova punto a capo. “Ricordo che facevo molti colloqui ma spesso chiedevano se avessi intenzione di diventare mamma, se fossi fidanzata. Succede anche in Svizzera e non solo in Italia che facciano queste domande”. Dopo molta ricerca, scopre che con Eures, l’European Employment Service, ha la possibilità di provare a cercare lavoro in qualunque altro paese in Europa passando fino a 3 mesi all’estero, continuando a percepire la disoccupazione svizzera e sceglie di provare ad Amsterdam. “Sono volata in Olanda e dopo poche settimane sono stata assunta come recruiter per una grande azienda. Dopo soli tre mesi ho avuto il primo aumento di stipendio per i risultati raggiunti”. Si sposa, cambia varie aziende e aumenta sempre di più il proprio potere contrattuale: fa carriera. “In Olanda la mobilità è un fattore positivo. Qui ci sono incentivi per attrarre lavoratori specializzati, gli straordinari non sono necessari, se sei malato è il tuo capo il primo a dirti di andare a casa. In generale se ottieni dei risultati – spiega Roberta – o se hai un’idea vincente verrai preso sul serio. E non è che gli esseri umani siano diversi, semplicemente ci sono delle prassi aziendali che con il tempo si sono evolute e si tende a dar maggior fiducia al lavoratore rispetto ad altri paesi”.
L’attuale lavoro di Roberta, che oggi lavora in proprio, con un suo sito, un portfolio di competenze acquisite, riguarda una specifica branca delle risorse umane: coloro che aiutano chi cerca lavoro a prepararsi per ottenerlo. In Italia questo tipo di professione è ancora poco praticata. “Dal marzo 2024 sono in proprio e ho fatto da coach ad oltre 100 professionisti di oltre 24 nazionalità, tra cui molti italiani ancora in Italia o in altri paesi. È quello che mi piace e mi impegno molto per farlo bene. Purtroppo – continua – vedo molti italiani con enormi potenzialità rispetto ai loro colleghi olandesi, e non solo, che pensano di avere poche possibilità. Sappiamo resistere alle pressioni delle scadenze più di altri, abbiamo un’inventiva invidiabile e sappiamo rimanere sui binari, non ci demoralizziamo facilmente. Inoltre se una cosa non è finita tendiamo a non voler lasciare la scrivania”. Ma ci sono anche fattori negativi rispetto l’approccio al lavoro: “Non siamo abituati a capire gli altri, a spronarli per fare meglio. In Italia siamo abituati a un’eccessiva gerarchia, spesso per timore di perdere il lavoro non ci sentiamo al sicuro a condividere i nostri pensieri e le nostre soluzioni, la leadership è aggressiva e il micromanagement è la prassi normale”. Non ci sono rimpianti nelle parole di Roberta rispetto l’aver lasciato l’Italia. “In realtà sarei voluta andare all’estero molto più giovane. Quelle cose che mi mancano come cibo, vita, un certo tipo di empatia, sfumano dopo pochi giorni quando tutti iniziano a lamentarsi e a raccontare le ingiustizie che subiscono nel quotidiano sul luogo di lavoro. Manca nel mercato del lavoro in Italia un cambio di passo. Ai miei connazionali – conclude Roberta – vorrei dire che si può provare con strategia a rendere possibile un’esperienza fuori dall’Italia. Esistono paesi e ruoli in cui andiamo bene come siamo, a prescindere da quello che ci hanno fatto credere nel nostro Paese”.
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