Rapina al Louvre, l’esperta: “Un’azione ‘folle’, gioielli difficili da piazzare. Ecco che fine potrebbero fare”

  • Postato il 22 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un furto “folle”, di fronte al quale non è azzardato ipotizzare che alla fine la refurtiva possa addirittura essere restituita. C’è uno spettro abbastanza ampio di ipotesi riguardo ai canali illegali nei quali potrebbero finire i gioielli del tesoro di Francia fatti sparire dal Louvre di Parigi, domenica mattina, da una banda entrata in azione mentre il museo era già pieno di visitatori. Tuttavia, l’azione spettacolare lascia perplessi gli esperti perché “si tratta di pietre talmente riconoscibili che non è pensabile vengano offerte per vie legali”. Non solo: anche il furto su commissione non è considerata una pista prevalente da Carlotta Mascherpa, old master specialist e direttrice della filiale italiana di Lempertz, la più antica casa d’asta privata al mondo. “Per quanto sia una pista romanzesca e pittoresca, mi chiedo quale collezionista – spiega a Ilfattoquotidiano.it – possa immaginare di prendere degli oggetti del genere, simbolo di uno dei crimini mediaticamente più discussi al mondo”.

Dunque quale potrebbe essere la soluzione del caso?
Al momento non esiste una via per rimettere le opere sul mercato, quindi l’unico modo per ottenere una ricompensa è chiedere un riscatto.

C’è chi ipotizza una vendita “a pezzi” delle singole pietre.
Gioielli del genere non potranno mai essere presentati legalmente in alcun modo, anche se disassemblati. Sono talmente riconoscibili da rendere impossibile l’operazione. Ci provarono anche i criminali autori della rapina al Tefaf di Maastricht nel 2022: rubarono preziosi per un valore compreso tra i 20 e i 40 milioni di euro in pieno giorno con un’azione di un minuto; li smontarono e proposero le singole pietre in giro per il mondo. Passò del tempo, ma i gioielli vennero comunque in parte recuperati. L’unica strada che resta a questi criminali è fondere i metalli e tagliare le pietre, ma vanno ovviamente incontro a un’enorme perdita di valore. Del resto, ci sono diversi precedenti di colpi clamorosi conclusi con la difficoltà di vendere il bottino.

Tipo?
Penso ai furti nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, alle porte di Torino, e nel castello di Dresda, all’interno della Grünes Gewölbe, un colpo analogo per molti aspetti a quello del Louvre perché riguardava il tesoro di Augusto II con un valore nell’ordine delle centinaia di milioni di euro. Alla fine, i ladri trattarono la restituzione di quasi la totalità dei gioielli con le autorità, attraverso gli avvocati, in cambio di sconti di pena. Spesso non ci sono canali logici di mercato, anche illegale, di fronte a una refurtiva che “scotta”.

In alcuni casi, in passato, il bottino è stato perfino abbandonato. È un’ipotesi plausibile?
Sì, e non è remota. Accadde, ad esempio, con il Ritratto di Signora di Gustav Klimt, rubato a Piacenza nel 1997 e poi ritrovato nel 2019 all’interno dello stesso museo. Quando si comprende che c’è un’assoluta assenza di mercato è un’ipotesi da considerare. C’è da dire che, purtroppo, nel caso di preziosi come gioielli, quindi con oro e pietre, è ancor più semplice che vengano distrutti: una prospettiva terrificante tenendo conto del valore storico di quei pezzi. Nel caso di Dresda, le autorità arrivarono a fare un appello ai criminali invitandoli a evitare la dissoluzione del bottino.

È possibile dare un valore economico ai gioielli sottratti al Louvre?
È inestimabile nel complesso ma le singole pietre hanno ovviamente un valore nell’ordine del centinaio di milioni di euro (Il curatore del Louvre ha stimato il valore in 88 milioni, ndr). Resta, tuttavia, un gesto folle perché la rapina, come dicevo, non sembra avere un senso economico, stante la difficoltà di piazzare la refurtiva. Anche se operazioni di questo tipo non sono rare come si può pensare. Nel 2015 una banda di professionisti portò via 17 opere dal museo di Castelvecchio a Verona per un valore attorno ai 15 milioni di euro: anche in quel caso furono poi ritrovati abbandonati, nell’Europa dell’Est, perché il furto non aveva un senso in chiave commerciale. Allo stesso modo definirei strampalata l’idea di un gesto politico che qualcuno ha avanzato in questi giorni, pur essendo vero che in Francia, negli ultimi mesi, ci sono state altre due azioni di questo tipo.

È un mercato che vede in azione bande di specifici Paesi?
No, esistono criminali d’arte in ogni angolo del mondo. Solo riguardo ai manufatti asiatici ci sono gruppi specializzati in Medio Oriente. Così come erano di origini mediorientali, anche se tedeschi di nascita, gli autori del furto di Dresda.

Definire quello di domenica il “colpo del secolo” è corretto?
È sicuramente curioso che l’appellativo subito accostato alla rapina di tre giorni fa sia lo stesso di un altro furto messo a segno al Louvre nel Novecento. Così infatti venne definita la sottrazione della Gioconda da parte di Vincenzo Peruggia. In quel caso il “movente” economico era del tutto assente: Peruggia ha sempre detto di essere stato mosso dal patriottismo, indignato per l’esorbitante quantità di opere italiane esposte nel museo parigino.

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Il Fatto Quotidiano

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