Ranieri e Acerbi, il bene della Nazionale non interessa più a nessuno

  • Postato il 11 giugno 2025
  • Di Panorama
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C’è un filo rosso che lega i grandi rifiuti che hanno scosso la vita della Nazionale nelle ultime due settimane dell’era Spalletti. Claudio Ranieri e Francesco Acerbi, due “No, grazie” comprensibili nella sostanza ma molto meno nella forma e che, proprio a causa di quelle modalità, hanno finito col danneggiare l’Italia del calcio ben oltre il dovuto. Il difensore non aveva regolato i conti con il commissario tecnico, si era sentito mal sopportato e non pronto a passarci sopra per il bene comune, leggasi necessità di arginare Haaland nella trasferta da dentro o fuori in Norvegia. L’ex tecnico della Roma si è lasciato convincere dalle pressioni, più o meno dirette, della piazza romana che mal digeriva l’idea di doverlo dividere part time con la Nazionale.

Entrambi avevano il diritto di tirarsi fuori, nessuno dei due di giocare con le esigenze tecniche e di programmazione di un gruppo che a parole è di tutti, nella realtà sta vivendo il punto più basso della sua storia. L’azzurro della Nazionale non interessa più, è un dato di fatto. Spalletti è stato solo l’ultimo ct in ordine di tempo a farsi un fegato grosso così tra dolorini, defezioni, rapporti tesi con i club, promesse tradite e porte girevoli aperte o bloccate secondo convenienza. Nell’ordine, solo restando ai tempi recenti, ci avevano sbattuto la faccia Prandelli, Conte, Ventura e Mancini. Il quale ha poi inaugurato la stagione della fuga altrove nel mezzo della navigazione, perché va sempre ricordato che l’addio nell’agosto 2023 per trasferirsi in Arabia Saudita lasciò la Figc e la Nazionale nel mezzo di un guado pericolosissimo.

Mancini ora se n’è pentito e può essere anche che un domani se ne pentano Acerbi e Ranieri. O forse no. Di sicuro non esistono più i salvatori della Patria e in linea di massima non esiste proprio più una Patria calcistica. Anche questa non è una novità: il compianto Carlo Tavecchio, prima di virare sulla coppia Lippi-Ventura (poi disintegrata prima di partire dalla solita questione regolamentare), aveva sperimentato sulla sua pelle i “No, grazie” di una lunga serie di allenatori cui era stata offerta la panchina post Europeo 2016 di Conte. Quello del sangue tirato fuori dalle rape, con rispetto, calcisticamente parlando.

Dunque, prendere la Nazionale oggi è un atto d’amore e di coraggio e come tale non si può imporre a nessuno. Pretendere rispetto, però, sì e anche dire che i comportamenti non lineari possono provocare danni enormi. Se Ranieri fosse stato chiaro da subito, ad esempio, è possibile che Gravina avrebbe virato immediatamente sull’alternativa (Stefano Pioli) considerata funzionale: tecnico esperto, pratico, aggiustatore di situazioni complesse in un tempo breve.

Ora, invece, la Federcalcio si muove fuori tempo massimo, costretta quasi certamente a ripiegare su un profilo differente. L’idea che sulla panchina della Nazionale a settembre sieda uno dei “ragazzi del 2006” è suggestiva ma, va detto con chiarezza, anche estremamente scivolosa. In caso di fallimento è giusto che il prezzo lo paghi la federazione, ma nella storia di questa epoca deve restare anche che c’è chi l’azzurro non l’ha aiutato – finendo per intralciarlo – con il suo ripensamento. Un’ombra nella straordinaria carriera di Claudio Ranieri.

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Panorama

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