Rage Bait: il significato della parola dell’anno secondo l’Oxford Dictionary
- Postato il 1 dicembre 2025
- Di Panorama
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Oxford University Press ha scelto «rage bait» come parola dell’anno. Se negli anni scorsi il lessico dell’online ruotava, infatti, attorno alla fatica mentale dello scroll infinito, oggi è l’indignazione a occupare il centro della scena. Secondo Casper Grathwohl, presidente di Oxford Languages, il termine avrebbe visto un’impennata d’uso — triplicato in dodici mesi – a dimostrazione di «quanto siamo diventati consapevoli delle tattiche manipolative che ci coinvolgono online».
Il significato di «rage bait»
Secondo l’Oxford Dictionary, rage bait indica contenuti creati per provocare rabbia, frustrazione o indignazione. Se il clickbait stuzzicava la curiosità con titoli sensazionalistici, ora la leva principale non è più l’interesse, ma l’emozione negativa. Video volutamente provocatori, opinioni estreme, immagini che irritano a prima vista: l’obiettivo non è informare né aprire un confronto, ma stimolare reazioni immediate. Ogni gesto impulsivo — un commento furioso, una condivisione indignata — alimenta visibilità e traffico, trasformando lo sdegno in capitale emotivo.
Perché «rage bait» è la parola del 2025
La designazione arriva in un momento in cui il pubblico è diventato più consapevole delle tattiche manipolative che regolano la comunicazione digitale. «Internet puntava a catturare l’attenzione; ora mira a influenzare le nostre emozioni», ha sottolineato Grathwohl, sintetizzando l’evoluzione dell’ecosistema mediatico. Il dominio dell’indignazione nel 2025 ha fatto sì che rage bait prevalesse su altri candidati come aura farming e biohack, ritenuti meno rappresentativi dell’immaginario collettivo di quest’anno.
Dalla brain rot all’indignazione come carburante
La scelta di rage bait si collega idealmente alla parola dell’anno precedente, brain rot, il logorio mentale provocato dal consumo compulsivo di contenuti. Se il 2024 evidenziava l’effetto passivo dello scroll infinito, il 2025 mette a fuoco un movimento più attivo: la rabbia come motore degli algoritmi. L’indignazione genera engagement, i sistemi la amplificano e l’esposizione continua a contenuti divisivi lascia gli utenti emotivamente esausti. In questo ciclo, osserva Grathwohl, si misura l’evoluzione di un linguaggio che fotografa i nostri comportamenti digitali, rivelando come la rete stia diventando un terreno di sfruttamento emotivo tanto evidente quanto difficile da evitare.