Radio in pericolo, FM minaccia di sparire dalle auto, Vincenzo Vita al Governo: intervenite
- Postato il 15 giugno 2025
- Media
- Di Blitz
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In difesa della radio. È arrivata la bufera, è arrivato il temporale. Così cantava il bravissimo Renato Rascel, sfidando il regime fascista che ritenne troppo evocative quelle parole, ricorda Vincenzo Vita sul Manifesto.
Ma la tempesta è alle viste sul serio per la radio, il piccolo grande media capace di resistere a temperie e intemperie della storia delle comunicazioni. Doveva morire chissà quante volte, ma neppure la bulimica televisione l’ha soppiantata. Anzi. Nell’età della rete è come sbocciato un nuovo inizio.
Per rientrare nel contesto tragico in cui viviamo, non sarà certamente un caso se nelle inquietanti istruzioni per l’uso bellico, che girano in diversi paesi del Nord Europa, si sottolinea di tenere sempre provvisto di pile un apparecchio radio.
Ora, contro ogni logica mediale e per puro gretto desiderio di risparmiare qualche euro, le auto di nuova generazione non dispongono più di autoradio, ormai sostituite di display che permettono di accedere a qualsiasi forma di intrattenimento, spesso dimenticando la radio in Fm e persino il Dab, vale a dire lo standard digitale europeo per la ricezione.
In tal modo, chi guida, abituato a sintonizzarsi su un gruppo di emittenti magari preselezionato secondo modelli consolidati di consumo (circa 26 milioni di persone al giorno sentono la radio in movimento), ora dovrà immergersi in un universo più complesso e soprattutto dissuasivo rispetto alla classica fruizione della radio.
L’età crossmediale offre sì opportunità straordinarie: immagini, film, connessioni. Tuttavia, rischia di venire meno proprio il rapporto con un mezzo duttile e ricco di informazioni in tempo reale nonché di intrattenimento. In gergo parliamo di infotainment.
Non è, dunque, una vicenda per una manciata di addetti ai lavori, bensì un argomento di interesse generale.
Infatti, la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha rivolto una segnalazione al governo, su iniziativa del consigliere Capitanio. E nel dibattito sul testo «semplificazioni» (disegno di legge 1192, approvato al Senato nel maggio scorso e ora alla Camera) vi sono emendamenti proprio su tale tema.
Nonostante restino diffusi i cosiddetti sistemi ibridi (Fm e Dab+), i recenti modelli di vettura non includono l’autoradio: al suo posto, come accennato, vi è un modello collegato via bluetooth a uno smartphone, attraverso il quale si ascolta eventualmente la radio in streaming.
Serve, dunque, una revisione normativa, che obblighi di installare le autoradio in grado di ricevere le trasmissioni in tutte le tecniche disponibili. Del resto, finalmente si avrebbe un’applicazione -pur assai tardiva- dell’introduzione su scala larda del digital audio broadcasting (Dab). Si rende necessaria e urgente simile misura, in vista dell’entrata in scena delle macchine elettriche e già oggi delle city car, dove troviamo ormai semplicemente una porta Usb.
Si appalesa, insomma, un colossale digital divide intrecciato con una frattura generazionale. Si legge poco o pochissimo e si avvicina il tempo in cui la radio con la sua forza espressiva correrà il pericolo di diventare un oggetto di antiquariato.
L’Agcom ha condotto un’indagine (delibera n.316/24 Cons) sull’evoluzione del mercato e di qui ha preso le mosse la segnalazione.
Nell’odierna stagione di ingresso velocissimo dell’intelligenza artificiale, con annessi e connessi, alcuni nodi -dalle autoradio alla collocazione dei canali nel telecomando- sono illuminati da una luce modernissima e niente affatto superata. Per chi ama la radio si tratta di un passaggio importante e c’è da augurarsi che il ministro Urso (competente per materia), e le stesse forze politiche e parlamentari vogliano cogliere il valore di simili vicende. Un’auto senza radio è come un veicolo che procede a fari spenti, magari nella notte.
PS: l’Agcom ha inviato al governo una significativa segnalazione, che speriamo non finisca in un cassetto.
Però, l’Agcom è attesa ora ad onorare gli adempimenti previsti dalla legge n.28 del febbraio 2000 (par condicio), visto che la pochezza dei dati pubblicati dalla medesima Autorità sui tempi dei quesiti referendari in televisione sottolinea la necessità di un intervento
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