Raccontare i territori insoliti della città camminando e narrando. Un geopodcast su Roma spiegato dall’autore 

Dal 19 settembre al 21 dicembre 2025 alcune aree piuttosto insolite di Roma – Tor Tre Teste, Monte Mario, Acilia, Portuense – saranno attraversate e narrate grazie al progetto Paesaggi Umani di Roma Plurale. Performing Media Storytelling per la Memoria Rigenerativa. Un progetto che indaga criticamente le “pratiche del narrare” e il concetto di “performativo”, proponendone inedite fisionomie. Ne abbiamo parlato con l’ideatore, il critico, autore e conduttore radiofonico Carlo Infante.  

L’intervista a Carlo Infante e il progetto Paesaggi Umani 

Da circa vent’anni porti in giro per l’Italia il format dei Walkabout sviluppati da Urban Experience: quali sono le novità del nuovo progetto Paesaggi Umani di Roma plurale? 
L’esperienza di Urban Experience nacque dopo le Olimpiadi di Torino 2006, per le quali progettammo la “mappa interattiva”, una sorta di blog georeferenziato, sei mesi prima che arrivasse Google Earth, attuando ciò che non faceva: scrivere storie nelle geografie. L’evoluzione di quel format è il Walkabout, che presuppone una sorta di esplorazione psico-geografica performante pensata per coinvolgere spettatori “senzienti” – non inerti – che diventano protagonisti attivi, a cui richiediamo di interrogare il territorio che percorriamo insieme. L’obiettivo rimane quello di creare un “ecosistema”: ci si mette in movimento, si attraversa la città e si coinvolgono persone perché si possa fare un lavoro sulla memoria e utilizzarla davvero come un materiale “generativo”, che non sia solo conservazione di un valore ma qualcosa di funzionale alla trasformazione.  

Nel titolo parli di “paesaggi umani” e associ alla città di Roma l’aggettivo “plurale”: ci puoi chiarire come intendi questi termini? 
“Plurale” perché Roma è una città stratificata, multidimensionale, multiculturale e inclusiva e lo è fin dalle sue origini: la capitale non nasce da “romani” ma da popoli diversi. “Paesaggi umani”, invece, perché il tema è quello di rivelare le storie inscritte nelle geografie, attraversando i territori e intercettando “protagonisti”, ossia portatori di genius loci, e registrandoli.  

Teatro - Cuocolo, Bosetti
Teatro – Cuocolo, Bosetti

Il sottotitolo del progetto, invece, è: Performing Media Storytelling per la Memoria Rigenerativa. Ce lo puoi spiegare? Iniziamo con la prima parte: Performing Media Storytelling… 
Si creano mappe interattive con i “podcast georeferenziati/geopodcast”: il podcast è un formato digitale attraente che coinvolge anche le nuove generazioni. Il mio interesse è indagare il rapporto fra le pratiche del narrare, la drammaturgia e i performing media, ossia la definizione che io stesso diedi trent’anni fa all’ibridazione con le tecnologie, come il videoteatro allora e oggi i sistemi radio-mobili. L’obiettivo è quello di intercettare nuove sensibilità e di creare nuove disponibilità.  

Cosa intendi, più specificatamente, per “performatività”? 
Quando parlo di performatività non intendo ancorarmi ai modelli della performance art, legati peraltro a un periodo storico specifico. Parlare di performatività è un po’ come uno scalare di marcia rispetto alle categorie di “teatro” o “danza”, non ci sono per forza l’attorialità e le coreografie, ma ci si muove con maggiore libertà, fuori dai canoni. Per me, dunque, la performatività è un processo così indeterminato che permette di attestarsi “al di qua” di ciò che definiamo “spettacolo”.  
I “performing media” espressi dalla “radio che cammina” dei Walkabout non hanno nessuna pretesa di essere spettacoli ma possono essere funzionali anche a degli spettacoli, contestualizzandoli, creandone le condizioni d’entrata e d’uscita, in un esercizio di audience engagement.    

Lo storytelling è da intendere invece come “narrazione”… 
Qui il maestro è Marco Baliani, che parlava di etica della narrazione per cui l’attore/narratore deve creare le condizioni per cui lo spettatore si possa proiettare fortissimamente in quanto viene narrato.  
Non è l’immedesimazione della mimesi teatrale ma un esercizio quasi maieutico: lo spettatore deve mettersi in gioco per diventare co-autore di quanto sta accadendo. Non è neanche qualcosa di legato ai modelli letterari, anzi da essi vuole smarcarsi.  L’etimo della parola “narrare” – che è qualcosa di molto diverso dal raccontare – è gnarigare e quel gna ha a che fare con la gnosi, la conoscenza: il narratore è legato alla figura di Omero, dell’aedo.  

Cosa vuol dire invece per te memoria generativa? 
L’obiettivo è cercare di recuperare tracce di memoria e fare in modo che esse siano funzionali a una staffetta intergenerazionale fra anziani e giovani/giovanissimi. Coinvolgeremo in queste esplorazioni i ragazzi delle scuole facendo loro ascoltare frammenti di memoria registrati attraverso i geopodcast. Un focus, in particolare, sarà dedicato ai bombardamenti del 1943: i ragazzi scopriranno, per esempio, che Roma, la loro città, è stata bombardata come oggi sono bombardate Kiev e Gaza. L’elemento generativo è legato proprio alla riconquista di una relazione mai considerata con gli anziani, portatori di un valore narrativo forte spesso trascurato.     

Il progetto prevede anche l’intervento di alcuni artisti del teatro – Marco Baliani, Consuelo Ciatti, Cuocolo/Bosetti, Mariella Fabbris. Come si inserirà nella narrazione con le radio-cuffie? 
Si tratterà di interventi teatrali ma contestualizzati all’interno dei Walkabout che attraversano territori che rivelano come dei sottotesti, non contenitori ma contenuti. Con Marco Baliani, per esempio, partendo dal suo romanzo autobiografico di formazione, ambientato nella borgata di Acilia negli anni ‘60, faremo un Walkabout sul “picaresco”, interrogandoci sulla lingua coatta che è quella della sua infanzia che esprime un particolare tipo di comportamento. I Cuocolo/Bosetti invece faranno a Portuense il loro lavoro itinerante Teatro mentre Consuelo Ciatti, sul treno che porta all’ex manicomio di Monte Mario, evocherà Alda Merini.    

Laura Bevione 

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Autore
Artribune

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