Quo vadis Roma? La cultura può dare la spinta per accelerare
- Postato il 13 giugno 2025
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Il Quotidiano del Sud
Quo vadis Roma? La cultura può dare la spinta per accelerare
Scrittori, archeologi, storici e registi a confronto sul futuro della capitale; il mondo della cultura nella seconda giornata di Quo vadis Roma: «Non siamo rimasta fermi, impossibile intrappolare la creatività»
«Cos’è Roma? Quando vediamo un pavimento della Roma antica noi lo vediamo a cinque-sei metri di profondità. Ora è vero che il suolo delle città, col tempo, si alza: ma non così tanto.” L’intervento di Andrea Carandini, il più importante studioso contemporaneo dell’archeologia di Roma, ha aperto la tavola rotonda “Un nuovo racconto“, nell’ambito di “Quo Vadis Roma“, manifestazione organizzata al Maxxi dall’Altravoce e dedicata al futuro della città. Ma per costruire il futuro il passato va conosciuto e vissuto.
Un archeologo psicoanalista lo definisce Alessandro Barbano, il direttore del nostro quotidiano che ha moderato l’incontro: e Carandini sta al gioco, perché sa scavare nel sottosuolo delle città senza trascurare che la conoscenza passa anche per scavare dentro noi stessi. E conoscere e capire un passato che ha forma di rovine, secondo Carandini, è una chiave importante per ricostruire il presente. «Ci siamo fidati troppo nei decenni di un’idea autorevole e autarchica di Roma, una città che bastava a sé stessa».
Paolo Di Paolo, giovane e affermato scrittore, il suo “Romanzo senza umani” è stato candidato al Premio Strega l’anno scorso. E fa eco al professor Carandini: «Io penso che ci sia un problema che ha a che fare con la nostra incapacità di produrre un immaginario alternativo a quello che Roma ha prodotto in secoli di storia. Sono passati 25 anni dalla fine del Novecento, e dallo scorso Giubileo, ma la sensazione generale è di essere rimasti ad allora».
Ma qualcosa sta cambiando, secondo Di Paolo, che allude ai cambiamenti dell’ultimo anno nel volto della città: «Penso che ci stiamo rendendo conto di un’oggettiva trasformazione di questi ultimi anni, mesi. È una trasformazione favorita dall’amministrazione, però il colpo d’occhio che oggi hanno il romano e il turista è quello di una città che si è rimessa in movimento». E lo scrittore sembra voler dare una scossa: «Gli spazi del presente esistono. Nei contesti artistici rischiamo sempre di fermarci alla nostalgia, Moravia, Pasolini, Fellini. Quello che manca è invece un’auctoritas culturale del presente».
Al Maxxi è il giorno anche di Claudio Strinati, fine storico dell’arte e per molti anni responsabile del Polo museale romano.
Anche lui è ospite dell’incontro e in riferimento al Giubileo regala un prezioso ricordo di Jacques Le Goff, storico francese scomparso una decina di anni fa, e uno dei più importanti studiosi mondiali del Medioevo: «Si stava avvicinando il Giubileo del 2000 e l’editore Giunti mi chiese di coordinare una ‘Storia dei Giubilei’. E potei scegliere Le Goff tra gli autori: lo andai a trovare e parlammo proprio degli argomenti ai quali accennava prima Carandini: il ciclo del tempo, la caduta di un impero, la dispersione psicofisica dei valori accumulati… Ne avrebbe scritto anche sul libro, e fu Le Goff a ricordarmi il motto rinascimentale ‘Roma quanta fuit ipsa ruina docet’, cioè ‘Bastano le rovine a raccontare la grandezza di Roma’. È il motto impresso sui libri di architettura di Sebastiano Serlio».
«E la rovina che cosa insegna? Noi siamo tutti partecipi del disagio di vedere una città che ci dà tutto e perennemente distrutta e minacciata. Però c’è sempre il segno di questa immensa grandezza. Progettare il futuro è complicato: il presupposto può essere il disagio, l’angoscia, il timore…Ma c’è anche la sconfinata ammirazione di chi si trova davanti a tutto questo». Alessandro Barbano mette in evidenza che questa potrebbe essere una trappola? Ma Strinati è a sua volta ottimista: «Non c’è nessuna trappola in cui la creatività possa cadere. La creatività si alimenta di questo. Quasi ogni settimana io resto stupefatto e sbalordito dalla scoperta di Roma. Spesso io vado in periferie che recano testimonianza della città storica a tutti i livelli: il contrasto, la protesta, l’immigrazione. La bellezza di Roma è in una città che sta crescendo».
In chiave ottimista interviene anche Luca De Fusco, direttore della Fondazione Teatro di Roma: «Ho la fortuna di aver diretto quattro teatri, il Veneto, Napoli, Catania e ora Roma. Francamente tutto questo pessimismo non lo condivido. Quando andai a Venezia Paolo Baratta mi accolse così: ‘Benvenuto nell’unica città del mondo priva di abitanti’. A Napoli quello del teatrante è ancora un mestiere, soprattutto perché più conveniente che lavorare in altri settori , come avviene nel Nord Est. Ma Roma è stata capace di fare l’auditorium, il Maxxi, il Macro, sono successe tante cose. E la situazione del pubblico non è tanto deficitaria».
Insomma, bene o male da queste parti le cose si fanno.
E il fare e il pensare coincidono, come dice in chiusura Strinati: «A me sembra che i soldi del Giubileo stiano venendo spesi bene. Prendiamo la sistemazione di piazza Augusto Imperatore: c’è chi ne parla male, chi ne parla bene, però la cosa notevole è che c’è l’elemento cruciale: l’edificazione. Gli architetti oggi in Italia notano come sia venuta a mancare la quintessenza del concetto di umanesimo: l’homo faber, l’uomo artefice. Nella parola ‘pensiero’ è contenuta anche l’azione: quando dico ‘ci penso io’ vuol dire ‘lo farò io’. L’homo faber è quello che pensa, ci pensa lui a fare l’edificio. Il progetto architettonico è l’emblema assoluto di questa dimensione del pensiero umano». E questa componente a Roma, da qualche parte c’è.
Il Quotidiano del Sud.
Quo vadis Roma? La cultura può dare la spinta per accelerare