“Quello che si dice sui ristoranti è vero, le cucine da incubo esistono e io ho subito bullismo. Si creano situazioni retrograde e giochi di potere”: parla Chef Ruben

  • Postato il 13 marzo 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Quello che si dice sul mondo della ristorazione è vero: le cucine da incubo esistono e io ho subito bullismo quando ho lavorato a Londra”. Oggi Chef Ruben, al secolo Ruben Bondì, è uno dei food creator più famosi sui social, con 1,8 milioni di seguaci solo su Cucina con Ruben, il suo profilo Instagram. Complice la sua cucina semplice e popolare, che guarda alla tradizione giudaico-romanesca, la notorietà gli è letteralmente esplosa tra le mani durante il Covid, quando ha cominciato quasi per caso a cucinare sul balcone di casa sua e a macinare migliaia di seguaci al giorno diventando un “fenomeno del web”. Da quel momento non si è più fermato. Oggi di anni ne ha 28 ma in cucina ci è entrato per la prima volta più di dieci anni fa: mollato il Liceo Scientifico, si iscrive all’Alberghiero e segue la sua vera passione, quella per la cucina, e a 15 anni inizia a lavorare gratis nel ristorante sotto casa. “Nel mio caso era giusto che non mi pagassero, era uno scambio equo: io imparavo un mestiere, loro me lo insegnavano. È stata un’esperienza incredibile, forse una delle più belle della mia vita”, racconta oggi in un’intervista a Cook del Corriere della Sera. Così, quasi per caso, è partita una lunga gavetta che lo ha portato anche a Londra, nelle cucine di un ristorante dove le cose però si sono fatte complicate.

“In cucina c’è molta competizione, si creano situazioni retrograde, giochi di potere assurdi. Poi ci sono i ruoli per ottenere i quali c’è sempre qualcuno che prova a ostacolarti o a metterti in difficoltà. Diciamo che per arrivare in cima si incassa tanto. Poi, una volta arrivati, si tende a restituire”, spiega. Ed è proprio lì che subisce atti di “nonnismo”, a cominciare da un sous chef che si divertiva a farlo sbagliare: “Io non parlavo inglese e lui lo faceva apposta: mi ordinava di tagliare le verdure in un modo e poi mi rimproverava perché le voleva in un altro”. Un’altra chef invece lo offendeva solo per il gusto di farlo e per affermare la sua superiorità: “Però non ho mai pensato di restituire ciò che ho subìto. E comunque queste persone si possono incontrare ovunque, non soltanto in cucina”, rivela sempre a Cook.

Ruben all’inizio si arrabbiava e rispondeva, poi cambia strategia: “Ho capito che non era producente e ho cominciato a stare zitto, a portare rispetto ai superiori, anche quando avevano torto. Questo mi ha reso più forte. Ho imparato che, nel mondo del lavoro soprattutto, non bisogna per forza replicare, non sempre almeno”. Proprio una volta rientrato da Londra ha cominciato a lavorare come chef privato, accumulando esperienza e credibilità, fino al successo che arriva durante il Covid, quando sempre più gente ha cominciato con interesse e affetto. Il segreto suo successo? “Ho mostrato me stesso dal primo giorno, non ho mai finto per avere successo”, sottolinea. “Con l’aumentare dei follower ho sentito crescere solo il mio senso di responsabilità nei loro confronti, quando si parla a un pubblico così vasto bisogna stare attenti a cosa si dice e a cosa si pubblica”. Non mancano però gli hater, che nel suo caso sono pochi, “anche se negli ultimi tempi ho ricevuto messaggi antisemiti. Ma si commentano da soli, non voglio spendere altre parole”. Lui sta in cima al balcone, loro sotto a rosicare per il suo successo.

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Il Fatto Quotidiano

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