Quelli che pedalavano alla Cipale

  • Postato il 11 ottobre 2025
  • Di Il Foglio
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Quelli che pedalavano alla Cipale

Passeggiando per il Bois de Vincennes, a Charenton-Le-Pont, periferia sud-orientale di Parigi, quasi non ci si accorge che oltre il boschetto che segue il profilo di una delle tante collinette che danno verticalità a quella che un tempo era una delle tenute di caccia dei re di Francia, c’è il luogo di centinaia e centinaia di migliaia, forse milioni, di appuntamenti. Perché il venerdì pomeriggio si andava alla Cipale. O così era almeno per quelli che a tutto si può rinunciare ma non alle biciclette, al ciclismo, ai suoi campioni.

 

E il venerdì pomeriggio, anzi dal venerdì pomeriggio, si andava alla Cipale perché alle sedici, da aprile a ottobre, iniziavano le riunioni su pista. Quelle nelle quali si  sfidavano i campioni del ciclismo su pista e della strada nella Velocità, nella Course (l’attuale Scratch), nella corsa a punti, in quella a eliminazione e nel giro lanciato.

        

Il venerdì si andava alla Cipale che il Novecento era ancora un secolo che doveva iniziare. Andò avanti così sino alla fine degli anni Settanta. Prima andavano alla Cipale solo quelli che vivevano nella parte orientale della capitale francese, perché quelli che stavano a ovest se ne andavano al Vélodrome Boulogne, quello che divenne dopo pochi mesi il Vélodrome Buffalo perché lì iniziò a esibirsi Buffalo Bill (e prese il suo nome). Poi, quando il Buffalo venne demolito durante la Prima guerra mondiale per far posto a una fabbrica di aeroplani, anche quelli della parte occidentale di Parigi iniziarono a darsi appuntamento alla Cipale. “Qui, su questo ovale, ci è passata la storia del ciclismo. Non c’è nessun posto a Parigi che ha visto tanti campioni pedalare. Nemmeno il Parco dei Principi: perché lì ci arriva sì il Tour de France, ma alla Cipale si sfidavano i migliori”, dice al Foglio sportivo, Jérôme De But.

 

Jérôme De But ha visto una lunga parte della storia del ciclismo francese pedalare alla Cipale. “Dal 1947 sino a quando ci sono state le riunioni”. Oltre trent’anni di riunioni viste, molte pedalate, alcune vinte. “Perché ora sono un vecchio (ha ottantasette anni, nda), e pedalo come pedalano i vecchi: lentamente, godendomi tutte le pedalate che il Signore mi concede e concederà. Quando ero giovane invece pedalavo veloce. Sempre e solo in pista però, perché non ero fatto per le corse su strada”.

 

Jérôme De But fu animatore per un decennio delle riunioni alla Cipale. Corse quattro edizioni dei Mondiali con la maglia della Francia nella Velocità, fu quinto nel 1962 e sesto nel 1966. E nelle Sei giorni in coppia con Michel Rousseau si tolse più di una soddisfazione. Ma era alla Cipale che era di casa. “Arrivai qui che ero un bambino. E da qui non me ne sono mai andato. Anche perché la Cipale mi ha salvato. Venivo da una famiglia che aveva poco e niente. E dopo la guerra per un ragazzino di nemmeno dieci anni che veniva da una famiglia povera di Charenton due erano le strade: rubare oppure spaccarsi la schiena per continuare a non avere niente. Fui fortunato a trovare la terza via: seguire don Marcel che raccattava i bambini delle periferie più povere e li portava alla Cipale per dare loro qualche ora di gioia su di una bicicletta. E anche perché don Marcel era un grande appassionato di ciclismo e amico dell’allora presidente della Federazione ciclistica che aveva tutto l’interesse di portare giovani al velodromo: quelli promettenti li teneva lì, provava a trasformarli in campioni”. Vitto, alloggio, studi e biciclette in prestito. “Io ero uno di quelli, anche se campione non lo sono mai diventato”.

 

Fu grazie a don Marcel che Jérôme De But iniziò a correre alla Cipale. Fu seguendo l’esempio di don Marcel che Jérôme De But non se ne andò mai da lì. “Dopo aver terminato la mia carriera di corridore, iniziai a occuparmi dei più giovani, li mettevo in pista, insegnavo loro cosa avevo imparato. Entrai nella Federazione ciclistica come istruttore. E dopo essere andato in pensione ho continuato da volontario. Sono rimasto qui, perché questo è un luogo magico”. Ospitò dal 1968 al 1974 l’arrivo dell’ultima tappa del Tour de France.

      

Fu il teatro, inconsapevole, dell’embrione della Quinta Repubblica francese: fu sulle tribune della Cipale, mentre assistevano a una riunione su pista, che Charles de Gaulle e Michel Debré definirono le linee guida della nuova Costituzione. E fu alla Cipale che iniziò la storia d’amore più famosa del ciclismo francese: quella tra Edith Piaf e Louis Gérardin: “Fu lui a raccontarmi del loro primo incontro al termine di una riunione su pista nel 1951”, racconta De But.

       

Di tutto questo poteva non rimanere niente. Da metà degli anni Ottanta le riunioni su pista finirono e del ciclismo su pista sembrava non interessare più a nessuno. Al centro del velodromo iniziarono a giocare a calcio e il presidente della squadra, un tizio ambizioso che si era messo in testa di trasformare il club di Charenton in una grande squadra chiese al comune la facoltà di radere al suolo l’impianto costruito nel 1896 per creare uno stadio moderno. E il comune diede pure il benestare. “Ma ti rendi conto? Volevano abbattere il velodromo, il grande velodromo delle Olimpiadi del 1900. Volevano radere al suolo le tribune progettate dall’architetto Jean-Camille Formigé, uno tra i più importanti architetti dell’Art Nouveau, volevano cancellare l’unico ovale in cemento armato continuo senza giunti di Francia, tra i pochi al mondo”.

        

Un impianto ancora utilissimo “perché è vero che ora tutte le competizioni internazionali vengono disputate su piste di 250 metri e l’ovale della Cipale è di 500, ma l’allenamento che dà una pista come questa è impareggiabile. Questa pista riesce ad allenare i corridori come nessun altro velodromo”.

 

Dopo che filtrò la notizia del via libera all’abbattimento dell’impianto ci fu una rivolta. Giorni di proteste e minacce al sindaco. Che cambiò idea. La Cipale divenne monumento storico, continuò a vivere. Ospitò il rugby, tornarono le corse giovanili. Nel 1987 La Cipale divenne il “Vélodrome Jacques Anquetil”, ma nessuno lo chiama così. È rimasto per tutti soltanto La Cipale.

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Autore
Il Foglio

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