Quel che resta del matrimonio: l’amore ai tempi del divorzio e dei “per sempre” che non durano
- Postato il 1 novembre 2025
- Di Panorama
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La scrittrice americana Joan Didion nel suo libro più celebre L’anno del pensiero magico scrisse: «Le persone non hanno idea di cosa sia davvero il matrimonio». Una frase che esprime un concetto di nuzialità complessa, intima, un’esperienza unica e impossibile da prevedere.
Oggi tutto questo è stato spazzato via, i giovani sanno benissimo cosa è il matrimonio. E infatti non si sposano più. «O lo fanno con un approccio consumistico, ossia se non va bene si va dall’avvocato. La fede al dito non è più un obiettivo» spiega il matrimonialista Gian Ettore Gassani. «È stato uno tsunami, dagli anni Settanta a oggi abbiamo registrato un terzo di matrimoni in meno. Nel mio studio arrivano anche i settantenni per separarsi, dicendo che vogliono cominciare una nuova vita».
Gli ultimi dati Istat parlano di 184.207 matrimoni celebrati nel 2023 (un calo del 2,6 per cento rispetto all’anno precedente). Diminuiti drasticamente i riti religiosi (meno 8,2 per cento). E l’analisi dei primi otto mesi del 2024 ha rilevato un ulteriore riduzione del 6,7 per cento. Ma per capire davvero il crollo che ha colpito il contratto più antico del mondo bisogna guardare al 1963, l’anno d’oro delle nozze, quando in Italia ne furono celebrati 420 mila. Oggi noi che eravamo il Paese dei matrimoni ci ritroviamo a considerarlo come un’opzione tra le tante per entrare nella vita familiare. Una scelta reversibile. Non più un rito di passaggio, bensì di conferma.
Secondo l’avvocato, alla base c’è una questione economica: «Al Sud fanno ancora i debiti per pagare il banchetto. Bisogna ostentare. Poi arriva la vita reale e, dove c’è un solo reddito, se il rapporto crolla porta alla povertà. Separarsi nelle grandi città è un passo molto serio. Trovare una seconda casa per l’uomo che se ne va è impossibile. Questo diritto di famiglia penalizza i padri con i redditi bassi. La classe media può uscire devastata da un divorzio. Anche le donne hanno capito che sposarsi ed essere madri è da eroine. Senza una politica che incentivi le coppie del matrimonio resterà molto poco». Ma l’amore dove è finito? «Quando non riesci a mettere il piatto in tavola la passione scompare», conclude tranchant Gassani.
Lo affermava già Seneca: all’uomo saggio non conviene sposarsi. Forse neanche alla donna. A meno che non sia Taylor Swift. Il post della proposta di Travis Kelce, in ginocchio tra i fiori, ha ricevuto 30 milioni di like in poche ore, un record. Si delinea un’amara realtà: il matrimonio (e soprattutto il divorzio) è un affare da ricchi. Per quelli che raccontano di innamoramenti travolgenti nati tra Gstaad, Pantelleria, Formentera. Che coronano il loro sogno affittando l’isoletta greca dove si sono dati il primo bacio o sotto i soffitti affrescati della cinquecentesca tenuta di famiglia nel senese.
E non parliamo solo di Jeff Bezos, ma di un trend che da qualche anno coinvolge dalle famiglie aristocratiche alle attrici più giovani. Festeggiamenti che durano almeno tre giorni, come i cambi d’abito (ci vuole un baule di outfit anche per lui), cascate di fiori e servizi fotografici realizzati da leggende dell’obiettivo. Dalla Valle di Noto alla nobile Bolgheri fino al selvaggio (gettonatissimo) Messico. E se pensavate di cavarvela per il regalo con i consueti “quattro pezzi”, ahimé che errore, ormai gli sposi vi inviano direttamente l’iban (attenti che guardano chi è braccino). Ci si sposa esibendo la coda come il pavone, poi magari dopo un anno ci si lascia. Così i Coma Cose, che incauti avevano dichiarato: «L’addio non è un’opzione». La durata massima (se va di lusso) è di quindici anni.
«Eppure lo si fa ancora per amore nonostante i social continuino a mandare messaggi disturbanti» osserva Valeria Randone, sessuologa clinica. «Tutto sul web sembra creato in funzione dello show. Invece la fede al dito ha un significato spirituale. Jacques Lacan parlava di extimacy per descrivere tutto ciò che viene esposto, il contrario dell’intimità. Questa parola sembra dominare il nostro tempo». Le nozze-status sono fragili, come carta velina. «La crisi sovente arriva subito dopo la nascita del primo figlio. L’uomo non regge, vive angosce abbandoniche perché la mamma è un tutt’uno con il bambino, va a cercare all’esterno nutrimento narcisistico».
Restano marcate differenze tra il Sud, che con le unghie e con i denti cerca di restare attaccato alle tradizioni, e il Nord più performante, spostato sulla dimensione lavorativa anche nei rapporti a due. «La coppia da un fatto sociale è diventata nel tempo un’impresa personale. Un punto di arrivo, più che di partenza. Si investe tutto sull’altro. Quando emerge una inevitabile debolezza, si collassa», spiega Raffaella Iafrate, ordinaria di Psicologia sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Siamo narcisisti, individualisti, il partner è al servizio della nostra realizzazione. «Quando leggo ai miei studenti la formula aggiungo molti “se”: prometto di esserti fedele, di amarti fino a quando me la sentirò. Qualche anno fa si scandalizzavano, ora mi dicono che hanno una paura enorme del “per sempre”», conclude la docente, membro del Centro di Ateneo di studi e ricerche sulla famiglia, fondato negli anni Settanta.
Eravamo più felici allora? Lo abbiamo chiesto a Erich Puchner, scrittore americano di successo, appena uscito con Stato di sogno (Fazi), storia di un lungo rapporto nuziale. «Credo che tanti di quei matrimoni del passato fossero probabilmente un errore. I miei genitori, ad esempio, sono stati piuttosto infelici negli ultimi dieci anni della loro unione. Sono rimasti insieme solo per il bene dei figli, riuscendo a renderci tutti infelici. Penso che molti abbiano aspettative pericolosamente irrealistiche. Esiste il mito “dell’anima gemella”. Mi viene in mente il personaggio di Levin in Anna Karenina, che sposa la donna dei sogni e resta sorpreso nel trovarsi spiritualmente smarrito, scoprendo che la sua infelicità non è magicamente guarita dalla serenità domestica. Troppo spesso, credo, confondiamo la felicità matrimoniale con quella personale».
Laura Gramuglia, dj e conduttrice radiofonica, ha scritto un saggio pop dal titolo Contro il matrimonio (EDT): «La grande Nora Ephron diceva: “Noi non sapremo mai cosa succede nei matrimoni altrui, eppure ne siamo terribilmente affascinati”. Cerchiamo la ricetta perfetta, ma è un grande mistero la vita a due. Forse la perfezione non esiste e le statistiche dicono che nel passato le donne che sceglievano il convento vivevano più a lungo di quelle sposate».
Alle nozze si arriva con calma: gli uomini sui trentacinque anni e le donne verso i trentatré. «Aumentano le convivenze. È la caratteristica delle prime unioni dei giovani. È come se si fosse sviluppata una nuova tappa nel ciclo di vita della famiglia. I matrimoni religiosi sono sì diminuiti, ma sono più consapevoli, una scelta voluta, la ricerca di un legame diverso da quello civile. Un tempo quando c’era la pressione delle famiglie era frequente trovare sposi all’altare poco convinti», riflette la sociologa Elisabetta Carrà. Ci si sposa con i figli che camminano o almeno trotterellano. Nel 1970 solo il 2 per cento dei bambini nasceva fuori dal matrimonio, oggi è un terzo.
Continua la docente, ordinaria di Psicologia della Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. «Matrimonio civile e religioso sono entrambi esposti alla separazione. In un modo o nell’altro l’instabilità è comunque forte. E la convivenza non lo rende più saldo». Sarà che si arriva all’altare con poche illusioni e molte disillusioni. Magari dopo un periodo di fiacca si pensa di risollevarsi con una cerimonia sontuosa, anche se il rapporto è già boccheggiante. Quando questo consenso si trasforma in muto silenzio, in una pace stagnante dall’odore stantio o, come scrive Diego De Silva: «Quando niente più ti disturba perché niente più ti tocca, è allora che è finita». Il suo romanzo I titoli di coda di una vita insieme (Einaudi) racconta l’ultimo atto: «Chi si sposa nel pieno delle facoltà mentali sa che sta facendo un passo avventato, assolutamente ingiustificato. Ma lo fanno perché credono che abbia un sapore romantico, una forza vincolante che li aiuterà nel cammino insieme. Hanno fiducia in quel patto contrattuale che simbolicamente e giuridicamente li vincola. E qui sta l’incoscienza. Se questo è il quadro perché due persone sane di mente dovrebbero compiere il passo?», si domanda lo scrittore. «La risposta è che ha un senso o in giovanissima età, quando sei ricco di speranze e utopie, o da vecchio. Io che ho sessant’anni potrei farlo con una certa quota di divertimento, ben sapendo di giocare con questo grande sbaglio». Bisogna provarci sempre. E poi, come diceva Woody Allen: «Molti matrimoni finiscono bene, altri durano tutta la vita».