Quattrocento anni con Brueghel il Vecchio, a casa di Federico Borromeo

  • Postato il 12 giugno 2025
  • Di Il Foglio
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Quattrocento anni con Brueghel il Vecchio, a casa di Federico Borromeo

La Biblioteca Ambrosiana nasce nel 1607, la Pinacoteca Ambrosiana undici anni dopo e quel geniaccio di Jan Brueghel il Vecchio (1568-1625) di cui ricorrono ora i quattro secoli dalla morte, mancò di un soffio la conoscenza di entrambe. Non però di Federico Borromeo, che dell’Ambrosiana sarebbe stato visionario fondatore: negli anni giovanili in cui viveva a Roma, il cardinale amava intrattenersi con Brueghel (quel “Brueghel dei velluti, dei fiori e del paradiso”, come ci insegnavano al liceo) e non smise di farlo a Milano, dove il pittore fiammingo rimase parecchio (scrive il Borromeo: “sta a casa mia”) durante il suo soggiorno italiano sul finire del Cinquecento, e nemmeno, in via epistolare, quando l’artista se ne tornò ad Anversa. Di questa corrispondenza di intellettuali sensi ben racconta il corposo carteggio tra il pittore e il cardinale oggi conservato in Ambrosiana. Protettore del Vecchio (e poi del figlio, Jan il Giovane) e amico di Paul Bril, altro talento nordico del pennello (a uno o al massimo due peli, per una precisione maniacale), il cardinal Federico Borromeo intuì prima e meglio di altri la potenza della loro pittura, tanto che oggi la sala 7 della Pinacoteca Ambrosiana può contare su 32 pezzi fiamminghi notevoli.

 

Per i 400 anni dalla morte di Brueghel il Vecchio, il museo l’ha riallestita e il Foglio ha potuto vedere il risultato in anteprima (da oggi la sala è visibile al pubblico). L’idea di fondo è di valorizzare i “gioielli di famiglia”, quelli della donazione primigenia del cardinale Borromeo e dunque capolavori come il “Vaso di Fiori con gioiello, monete e conchiglie” (che da solo vale il biglietto d’ingresso al museo), l’Allegoria del fuoco e l’Allegoria dell’Acqua e l’acquasantiera usata dal cardinal Federico ma anche quadretti-miniature come il Topolino con rose, tutti firmati da Jan Brueghel, mentre a Pau Bril è dedicata una parete intera, su cui spicca la “Veduta marina”.

 

Gli architetti Alessandro Colombo e Paola Garbuglio, in collaborazione con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana e con il sostegno di Intesa Sanpaolo, per le pareti hanno virato sul blu e dentro questo “cielo notturno in una stanza” i dipinti fiamminghi paiono prendere nuova vita. La distribuzione delle opere, raggruppate per firma, meglio orienta il visitatore. Il risultato è sobriamente elegante: rispetto a tanti allestimenti che distraggono, qui ci si è mossi in direzione opposta.

   

“Il nuovo stile espositivo aiuta il visitatore a entrare nei dettagli di questi lavori miniaturistici, tutti realizzati dal vero, in cui non vi è nulla di inventato: la pittura fiamminga ci riconduce al reale e oggi, grazie alle tecnologie più innovative, possiamo cogliere tutta la grandezza di questa arte tanto amata dal cardinal Borromeo”, dice al Foglio mons. Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca. Il “museo più antico di Milano” ci pare, al momento, anche tra i più smart: lo confermano i numeri (il 2024 è stato un anno record per gli ingressi e il primo semestre 2025 registra un ulteriore aumento del 30 per cento) e le mostre temporanee recentemente inaugurate.

   

Oggi – basta farsi un giro in piazza Pio XI, in una giornata qualunque – i visitatori, singoli o in gruppi organizzati, non mancano e paiono apprezzare questo nuovo corso ambrosiano che protegge i suoi tesori ma non teme di aprirsi al nuovo. Al centro della rinnovata sala 7, infatti, è stata inserita anche un’installazione multimediale: l’ha realizzata Black, società esperta del settore, e, grazie a tre ampi schermi touch interattivi, svela i dettagli più nascosti dei dipinti, come quella libellula celata a sinistra tra i petali del celeberrimo vaso di Brueghel o l’occhietto del topolino della miniatura a lui dedicata. Si può navigare dentro le opere, interrogarsi sul loro significato, procedere per libere associazioni, alzare lo sguardo e trovarsi l’originale proprio lì accanto: niente “effetto-wow che si dimentica dopo 5 minuti”, ma un’esperienza digitale arricchente e ben fatta (il che non capita spesso). A quattro secoli di distanza, ci ricorda peraltro che i dipinti fiamminghi tanto appezzati dal Borromeo non sono quadretti di genere, ma preziosi strumenti per conoscere la Natura (e, teologicamente, il Creato) e dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, quanto il cardinal Federico fosse bravo a contenere moltitudini (dalla struggente Canestra caravaggesca nella sala 1 ai vitali Fiori di Brueghel nella nuova sala 7 bastano in fondo pochi passi).

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Autore
Il Foglio

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