Quando Mosca decise che lo stupro avrebbe spezzato l’orgoglio tedesco

  • Postato il 14 giugno 2025
  • Di Il Foglio
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Quando Mosca decise che lo stupro avrebbe spezzato l’orgoglio tedesco

L’attivista franco-ucraina Inna Shevchenko ha pubblicato Une lettre de l’Est (Éditions des Femmes, 2025), monologo letterario ricavato da una serie di interviste sull’uso dello stupro da parte dell’esercito di Putin come prolungamento dell’invasione con altri mezzi: “Quando i soldati russi violentano le donne ucraine non si tratta solo di violenza: è un atto coloniale. Vogliono distruggere il futuro dell’Ucraina traumatizzando le sue donne, le sue madri, le sue figlie”. Non c’è troppo da stupirsi. La storia, a volte, è così cupa, feroce e squallida che diventa impossibile trarne una qualsiasi lezione, tranne che le cose peggiori tendono a ripetersi. Fra le tragedie meno raccontate del Novecento ci sono i crimini commessi dall’Armata rossa contro la popolazione femminile di Slesia, Pomerania, Prussia orientale, Brandeburgo, tra il 1944 e il 1945. Se negli ultimi mesi della guerra i tedeschi, uomini e donne, si suicidavano a migliaia, non era per fanatismo ideologico ma per sottrarsi alle conseguenze dell’occupazione sovietica. Con Storie di donne. Stupri in tempi di guerra caduti nell’oblio (Mimesis, 2025), Vincenzo de Lucia offre la prima monografia italiana sull’argomento, colmando così una lacuna pluridecennale che è il sintomo della nostra pietà selettiva, desiderosa di setacciare il passato alla ricerca di sventurati degni di memoria, negligente però su molti altri orrori. 


Non tutti gli eserciti sono composti da galantuomini, ma la portata eccezionale della violenza russa in Germania emerge dai numeri: stime prudenti parlano di circa due milioni di vittime, tra donne e bambine, molte delle quali uccise subito dopo lo stupro. Non fu la brutalità di una soldataglia fuori controllo, ma una strategia deliberata, messa a punto dagli ufficiali e dai commissari politici. “Seguite i precetti del compagno Stalin” era l’appello del giornalista Il’ja Ehrenburg ai combattenti “usate la violenza per spezzare l’orgoglio razziale delle donne tedesche. Prendetele come vostro legittimo bottino”. L’opera di propagandista valse a Ehrenburg la legione d’onore conferitagli da De Gaulle. 


La prima testimonianza su quel che era accaduto, ricorda de Lucia, fu di una donna tedesca senza nome che nel 1959 pubblicò il suo diario per una piccola casa editrice svizzera, subito scomparso dalla circolazione. Quando nel 2003 tornò alla luce, i negazionisti di turno sostennero che l’autrice non era mai esistita e che il libro era un’impostura. Per tanto tempo gli storici si sono sciacquati la coscienza con la tecnica dello struzzo o con il pensiero che, in fondo, si trattava di tedeschi, contro i quali nessuna vendetta era eccessiva. La simpatia di cui l’Unione sovietica ha goduto e gode presso schiere di intellettuali europei ha fatto il resto. Per Alessandro Barbero, la storia insegna una cosa soltanto: che è preferibile non invadere la Russia. Forse. Fermo restando che farsene invadere è molto peggio.

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Autore
Il Foglio

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