Quando i sindacati alleggeriscono gli stipendi
- Postato il 22 ottobre 2025
- Di Panorama
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In Grecia il 27 per cento della popolazione è a rischio povertà. Una percentuale che secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico la colloca al secondo posto fra i Paesi più poveri dell’Unione europea. Con salari reali che dalla crisi del 2009 si sono ridotti del 30 per cento, Atene viene subito dopo la Bulgaria e negli ultimi due anni la situazione sarebbe peggiorata. A fronte di tutto ciò il governo di Kyriakos Mitsotakis, in carica dal 2019, ha proposto una riforma che prevede la possibilità di portare l’orario di lavoro fino a 13 ore, con un aumento delle buste paga anche del 40 per cento. Cinque ore in più delle normali otto, pur se consentite per soli 37 giorni l’anno e esclusivamente su base volontaria, secondo il sindacati sarebbero una nuova forma di schiavitù e contro il progetto di Nea Dimokratia, partito di centrodestra che ha la maggioranza in Parlamento, le organizzazioni dei lavoratori hanno già dichiarato due scioperi generali.
Il nodo delle 13 ore e la povertà diffusa
L’estensione dell’orario per 37 giorni su 365 con il consenso del lavoratore rappresenterebbe, secondo l’associazione generale dei sindacati ellenici, un «atto barbarico e disumano, che non può essere tollerato in una società moderna». Evidentemente può essere tollerato che il 30 per cento della popolazione viva in povertà. E soprattutto che il potere d’acquisto diminuisca costantemente, fino a collocare la Grecia, con le isole e i suoi hotel scintillanti per un turismo estero di lusso, fra i Paesi più poveri dell’Unione europea. Che c’è di male se un lavoratore, per guadagnare di più e dunque migliorare le condizioni di vita sue e della propria famiglia, decide di lavorare una volta ogni dieci giorni tre, quattro o anche cinque ore in più? Quale sarebbe il comportamento barbarico e disumano contro un dipendente che mette in atto una sua libera scelta?
I sindacati ellenici e il paragone con l’Italia
La reazione dei sindacati ellenici di fronte a una proposta che non mi pare costituisca una violazione dei diritti dei lavoratori, ma semmai un tentativo per migliorarne le condizioni salariali, non soltanto mi ha riportato alla mente un episodio di molti anni fa, ma mi ha pure spinto a una riflessione che riguarda la situazione italiana. Parto dall’aneddoto, che ha per protagonista Sergio Cofferati il quale, da leader della Cgil, se ne andò in India per incontrare i capi delle organizzazioni dei lavoratori di quel Paese. Il segretario generale della principale confederazione italiana ai colleghi indiani fece più o meno questo discorso: siamo qui per difendere i vostri diritti e impedire che le nostre aziende vi sfruttino. Gli omologhi di New Delhi ascoltarono il discorso di Cofferati e, quando questi ebbe finito, gli spiegarono che quello che lui definiva sfruttamento per loro, e per i lavoratori che rappresentavano, era l’unica possibilità di avere un reddito e anche di migliorare le proprie condizioni di vita.
Globalizzazione e realtà del lavoro
Vi chiederete, cosa c’entra Cofferati con il sindacato greco? Beh, così come il leader della Cgil vent’anni fa non comprendeva che il mondo era cambiato, oggi i vertici delle confederazioni elleniche mi pare non capiscano che la globalizzazione ha immesso sul mercato prodotti che provengono da Paesi dove si lavora molto di più che da noi. India, Vietnam, Cambogia crescono perché c’è una manodopera che non pone un divieto agli straordinari e accetta la flessibilità dell’orario che ad Atene si vuole vietare. Qualcuno definisce tutto ciò sfruttamento, barbarie, condizioni inumane? Ma con le merci che arrivano da quelle latitudini dobbiamo fare i conti, perché altrimenti il processo che vede erosi i salari in Grecia o in Europa proseguirà, con un aumento delle fasce di popolazione costrette a vivere in condizioni di povertà.
La riflessione italiana
Un’ultima annotazione: alla proposta di detassare gli aumenti di stipendio contenuta nella manovra messa a punto dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, Landini e compagni hanno reagito dicendo che la finanziaria non prevede nulla per la crescita e per i lavoratori. Al che mi domando: ma se domani in busta paga un operaio si trova cento euro in più non si tratta di aiuto alla crescita? Non è forse un incremento di stipendio ciò che può aiutarla? Certo, capisco che se l’aumento non è collettivo, così come non lo sono le 13 ore in Grecia, il sindacato perde il controllo dei miglioramenti dei salari e dunque riduce il suo potere, rischiando di perdere iscritti. Ma allora mi chiedo: quando Landini e compagni, in Italia o in Grecia, scioperano, difendono gli interessi dei lavoratori o i propri? La mia sensazione è che scioperino per tutelare la loro corporazione.