Quando gli uomini tornarono sui tacchi (adesso, per esempio)

  • Postato il 8 giugno 2024
  • Di Il Foglio
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Quando gli uomini tornarono sui tacchi (adesso, per esempio)

Siamo all’Università degli Studi di Foggia, alle 10 inizia un appello. Il professore che entra in aula sembra sceso da un manifesto elettorale degli anni Settanta: un compassato santino che immagini in buoni rapporti con Ciriaco De Mita e Arnaldo Forlani, dei quali possiede l’eloquio e la compostezza. Di fronte a lui, per disquisire di prestiti linguistici e forestierismi, viene chiamato un ragazzo slanciato, dall’andatura flessuosa, resa più danzante da un tacco di otto centimetri, almeno. Mi aspetto che il docente stringa gli occhi per mettere a fuoco quella calzatura, arrivo a temere che possa fargli una scenata. Evidentemente ci condizionano più pregiudizi di quanti ammetteremmo di avere: rilassatezza diffusa, anche perché hanno scelto di elevarsi grazie a due pezzetti di legno altri due esaminandi. La natura è importante, ma gli insegnamenti più importanti ce li comunica la naturalezza.

Quello tra i maschi e i tacchi alti è un amore che conosce stagioni alterne: attualmente ne attraversiamo una di rinnovato afflato. Molti, per rivendicare questa scelta estetica, corrono a spaginare il volume di storia del costume per ricordare (ma è un apocrifo) che i tacchi nascono per gli uomini, e che servivano ad ancorarli nelle staffe con maggiore sicurezza nelle staffe. E proprio nella stampa di una composita scena di guerra li indossa il re Sole, nel momento in cui poter elevare il piede da terra individuava la posizione, il rango, il censo di chi li indossava tanto che, più tardi, Napoleone I deciderà di vietarli per livellare le classi sociali.

Lo switch off, e il passaggio di proprietà alle donne, era comunque già avvenuto da secoli: la solita Caterina de’ Medici, influencer ante litteram, li utilizzò per spiccare sull’amante del futuro marito, l’inarrivabile Diana de Poitiers, prendendoli a prestito dalla moda veneziana delle cioppine o calcagnini. Il ritorno di fiamma, per gli uomini, avviene nel Novecento, fra gli anni Sessanta e i Settanta, i tacchi diventano espressione di massima modernità, di spregio esibito alle convenzioni borghesi, di sensualità. Ma negli anni Ottanta l’apoteosi del tacco come strumento di seduzione assoluta, magari indossato sotto un completo di taglio maschile, fa nuovamente vincere la partita alle donne.

Adesso i tacchi li pretendono molti uomini: all’Eurofestival, se non dimostri di averne nel bagaglio di mirabolanti e appariscenti, non ti fanno neanche entrare. Ma anche in contesti più urbani, scanditi da una quotidianità più noiosa, ci svettano accanto giovanotti con stivaletti dal tacco alto e robusto ai piedi: visto che abbiamo compreso che il mondo è un palcoscenico, tanto vale montarci con una calzatura che ci faccia notare e applaudire anche dalle ultime file. I più pedanti si appelleranno ai corsi e ricorsi storici, e noi non bruceremo una sola caloria per dargli torto: ci diranno che Damiano dei Maneskin ripropone una sfrontatezza calzaturiera che era già stata di Renato Zero nei domestici spettacoli del sabato sera Rai, a sua volta ispirati (sorcini, perdonatemi, ma le date mi danno ragione) da quel terremoto estetico e sessuale che fu Ziggy Stardust, David Bowie. Uno che di tacchi altissimi si intende è indubbiamente Diego Dolcini, che ne crea di meravigliosi: li hanno voluti e amati Madonna, Julia Roberts, e le donne di mezzo mondo. Ne è espertissimo non solo da un punto di vista creativo, ma anche da un punto di vista tecnologico e personale, visto che li ha indossati sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia lo scorso anno e ne parla abitualmente nel suo podcast Storie sui tacchi.

“Per nessuno è naturale camminare sui tacchi in modo confortevole – racconta lo stilista, fra pochi giorni ospite a Pitti Uomo di una serata di Cuoio di Toscana sul benessere del calzare: “E’ un esercizio quasi ginnico, e le scarpe vengono sempre costruite senza pensare al comfort del piede. È per questo che due anni fa ho brevettato un sistema per proteggere le teste metatarsali dall’altezza dei tacchi: quei cinque ossicini del piede, ce lo insegna l’ortopedia, quando vanno in verticale assumono una morfologia piramidale al contrario. Quando vediamo le star sui red carpet, sono bellissime ma hanno sempre le dita rattrappite dalla fatica e dal dolore, perché quando si indossano i tacchi, tutto il peso viene scaricato sull’avampiede. L’estate scorsa, alla fine dei test che hanno visto ragazze di altezze e taglie diverse provare queste nuove scarpe, i feedback erano così positivi che ho deciso di voler provare anch’io quella sensazione. Mi trovavo a Capalbio con Lucrezia Lante della Rovere, e lei me ne ha chiesto un paio per la Mostra del Cinema: si è sentita più forte, più elegante, più seduttiva. Scherzando mi ha pungolato: le hai mai provate? E mi ha chiesto di accompagnarla. Quale occasione migliore per sperimentarle? È in quella condizione di stress che avrei avuto la risposta migliore, in casa siamo tutti bravi. Ho accolto la sfida. mi sono fatto realizzare un sandalo aperto per il mio piede numero 43 e sono stato quattro ore su tacchi altissimi. Devo dire che, tranne il dolore ai polpacci, normale per uno che non indossa abitualmente i tacchi, ho potuto indossare le mie scarpe dopo trent’anni che le disegno”. Su quei sofisticatissimi trampoli, giura, si è anche sentito bellissimo. “È come se si avesse accesso a un’altra dimensione, indossando quelle scarpe dal tacco così alto. Le persone ti guardano in maniera diversa: ero avvolto da sguardi di stupore ma anche di accettazione, non mi sono mai sentito fuori luogo né tantomeno giudicato. Moltissime donne, soprattutto loro, ma anche uomini mi hanno fatto dei grandissimi complimenti: mi trovavano sexy, ed elegante. Nel foyer mi guardavano tutti, si è aperto un varco!” Di origine napoletana, Dolcini ritiene che la sua città possieda uno spirito speciale; le persone, dice, (ma è la storia a confermarlo, fra la tradizione dei femminielli, di origine antichissima, e la Madonna di Montevergine, protettrice degli ultimi e scelta come icona di venerazione dalla comunità Lgbtq+, ndr) hanno un atteggiamento estremamente aperto nei confronti della diversità. “Le prime volte in cui ne ho indossato qualche paio è stato per gioco, frugando nell’armadio di mia madre. Ho sempre avuto molti amici transgender, e spesso l’adozione di una scarpa con tacco alto è uno dei passi che accompagna la trasformazione. Ma è vero anche che negli ultimi anni, insegnando in una scuola internazionale come il Polimoda, sono circondato da ragazzi di ogni cultura e mi capita di vederne molti con i tacchi: non il classico stiletto, ma comunque scarpe con un rialzo importante, come uno stivaletto beatles da sette-otto centimetri di tacco”.

Restiamo al sud, tornando nell’aula universitaria dell’incipit. A fine esame, Francesco ha ricevuto i complimenti del professore: “Sono bellissimi, ammiro che riesca a camminarci senza cadere”. Consideriamolo come un bacio accademico da parte della tradizione.

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Il Foglio

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