Quando anche il tempo libero diventa un problema: l’inganno dell’era dell’intelligenza artificiale

  • Postato il 28 ottobre 2025
  • Di Panorama
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La diffusione dell’Intelligenza artificiale sta attirando l’attenzione degli esperti di rischio politico. Oltre a numerosi altri aspetti, tiene banco l’impatto sulla stabilità sociale degli Stati. L’Intelligenza artificiale rischia infatti di creare una società profondamente divisa tra un’élite ristretta che controlla la tecnologia e una maggioranza impoverita e atomizzata, narcotizzata da piattaforme digitali progettate per mantenere la pace sociale attraverso la distrazione.

La promessa che l’Ia possa inaugurare un’era di maggior tempo libero per l’umanità non è nuova nella storia economica. Come spiega lo storico Benjamin Hunnicutt nel suo libro Free time: the forgotten american dream, già nel diciannovesimo secolo le ore lavorative nelle nazioni industrializzate diminuirono progressivamente con l’arricchimento delle economie. L’incremento del tempo libero era già allora considerato una delle grandi benedizioni della tecnologia secondo lo stesso Hunnicutt. Nel Regno Unito di oggi i lavoratori dedicano al lavoro circa metà delle ore settimanali che i loro omologhi nella metà del XIX secolo impiegavano nelle fabbriche.

Alcuni economisti si dicono convinti che i lavoratori “incasseranno” quei profitti sotto forma di tempo libero extra piuttosto che redditi più alti. Si badi: una diversa distribuzione del lavoro e del tempo libero non è scontata. Avere un golem digitale che lavora per te non significa che passerai il tempo a fare yoga o viaggiare, o concentrarsi sulla spiritualità. Il tema non è banale, e il rischio è di scivolare nelle stesse suggestioni che in Italia hanno caratterizzato la fase iniziale del Movimento 5 stelle. Si prendano gli Stati Uniti, che sono il Paese con i salari più alti ma anche quello in cui la gente con gli stipendi più elevati tende a lavorare di più. Oltre il 40 per cento degli americani che maturano ferie pagate non le utilizzano completamente, stando a un sondaggio del Pew Research Center.

Carlo Pelanda, in un saggio di qualche anno fa intitolato Futurizzazione, indicò il rischio della Torre di Babele, cioè l’atomizzazione delle società, con la creazione di miriadi di micro identità e gruppuscoli che sfuggono all’identità collettiva unica e creano un brodo di caos. La visione di Pelanda coglie una dinamica fondamentale dell’era digitale: la frammentazione sociale accelerata dalle tecnologie dell’informazione. Ricerche recenti documentano come la formazione di micro-identità rappresenti una dinamica paradossale, capace sia di intensificare la polarizzazione ed erodere le norme democratiche sia, al contrario, di rafforzarle quando strategicamente integrate negli sforzi di costruzione di coalizioni. La conseguenza è una società sempre più frammentata in micro-gruppi identitari che comunicano principalmente all’interno delle proprie bolle informative, rendendo impossibile il dialogo e la costruzione di un’identità collettiva condivisa – la comunità di destino – necessaria per la coesione sociale.

La dicotomia tra crescita della produttività e distribuzione dei suoi benefici costituisce il nodo cruciale della sfida sociale posta dall’Ia. La tecnologia promette abbondanza ma al contempo minaccia di accentuare drammaticamente la polarizzazione sociale, rendendo più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. Se si confermasse questa tendenza, sarebbe allarme rosso: la maggiore sperequazione creerebbe cicliche destabilizzazioni e costringerebbe i governi a dover fare ricorso a strumenti di pace sociale.

Per un verso, il ricorso a strumenti fiscali, come i redditi di cittadinanza, sono difficilmente sostenibili sul piano della finanza pubblica, mentre il vecchio “oppio dei popoli”, cioè le religioni tradizionali, sembra insufficiente ad attutire l’urto delle esternalità da Ia. Per un altro verso, si nota già ora un ricorso sovrabbondante a forme di narcosi digitale congegnate in Cina. TikTok rappresenta l’emblema più noto di questa strategia, che gli è valso da tempo un lugubre soprannome: quello di “fentanyl digitale”.

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Panorama

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