Quando a Roma si giocava alla Ruzzica

  • Postato il 20 luglio 2024
  • Di Il Foglio
  • 9 Visualizzazioni
Quando a Roma si giocava alla Ruzzica

Per diversi anni, non c’era sabato che Bartolomeo Pinelli non portasse la sua zazzera di boccoli e i suoi baffetti o al Campo Vaccino, gli attuali Fori romani, oppure nei campi che c’erano dietro a Trastevere, o ancora in quelli a poche centinaia di metri da Porta San Paolo verso il Porto Fluviale.  

Aveva sempre la pipa in bocca e qualche soldo in tasca. E ogni volta la speranza che sarebbero aumentati a sera. Non sempre andava così, ma lui era sempre ottimista. 

Non c’era sabato che non andasse lì perché ogni sabato lì si giocava alla Ruzzola. E ogni volta che si giocava alla Ruzzola c’era del vino, qualcuno che arrostiva frattaglie o altre cose. E c’era sempre qualcuno che scommetteva. Meo Pinelli ogni tanto portava pure i ferri del mestiere: chine, acquarelli, pennelli, stili, cavalletto, e tele. Immortalava quello che c’era, a volte cercava di rientrare delle perdite delle scommesse vendendo qualche ritratto. 

Meo Pinelli da giovane era stato un buon giocatore di Ruzzola, anzi di Ruzzica, come si chiamava a Roma. Poi si era fatto male al polso e aveva dovuto smettere. Perché il polso serve, e mica poco, per giocare a Ruzzola. Serve per dare forza al lancio del disco di legno (con un diametro che può andare dai 13 ai 30 centimetri) al quale veniva avvolto uno spago prima di lanciarlo. Un’estremità di questo spago veniva legato al polso e questo permetteva di imprimere la rotazione. L’obbiettivo era raggiungere la linea d’arrivo nel minor numero di colpi: quindi più ruzzolava la ruzzola meglio era. E prima di ogni partita si prendevano le scommesse. 

A queste partite ogni tanto assisteva pure Giuseppe Gioachino Belli. Non era mai stato giocatore al contrario di Meo Pinelli, anzi detestava proprio quel gioco da poveracci. Ma si beveva molto e si scommetteva. Alla Ruzzica ci dedicò pure un sonetto:

Sta cacca de fà a rruzzica, Dodato,
Co la smaniaccia d'abbuscà ll'evviva,
Nun è ggiro pe tté, cche nun hai fiato
De strillà mmanco peperoni e oliva.

Come sce pôi ggiucà, tisico nato,
senza dajje 'na càccola d'abbriva?
Nun vedi la tu' ruzzica sur prato
c'appena ar fin de 'na scorreggia arriva?

Co 'ddu pormonettacci de canario,
d'indove mommò er zangue te se sbuzzica,
tu protenni de prennete sto svario?

Stattene in pasce: ggnisuno te stuzzica;
si ppoi vôi vince tu, vva' a Montemario,
pijja la scurza e bbutta ggiú la ruzzica”.

Continua a leggere...

Autore
Il Foglio

Potrebbero anche piacerti