Quale futuro per i mari della Palestina? Scrive Caffio
- Postato il 10 ottobre 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Le recenti vicende del blocco navale avanti a Gaza in cui è stata coinvolta la Gaza Sumud Flotilla (Gsf) hanno evidenziato la complessa situazione degli spazi marittimi di riferimento. Si è parlato di acque territoriali di 12 mg. come limite che la Gsf avrebbe potuto superare esercitando il passaggio inoffensivo. E così si è rimarcato che in alto mare la libertà di navigazione non avrebbe potuto essere ristretta. Se questo è vero, bisogna considerare che un altro regime si sovrappone a quello del Diritto del mare. Il Diritto dei conflitti armati sul mare prevede infatti la possibilità per un belligerante (nella specie Israele) di istituire un blocco navale avanti alle coste dell’avversario (nella specie, Palestina ed Hamas) che i mercantili di qualsiasi bandiera devono rispettare.
L’Italia ha implicitamente riconosciuto i “diritti di belligeranza” di Israele, come del resto hanno fatto Spagna e Turchia. Questo è avvenuto nel momento in cui abbiamo deciso di inviare la nostra Marina a proteggere i connazionali nella fase di navigazione antecedente al transito nella zona presidiata dalla Marina Israeliana prima della linea del blocco. C’è da chiedersi se il blocco sarà revocato in futuro, quando il Comitato temporaneo di transizione (Ctt) assumerà come sembra il governo della Striscia. Sicuramente la Marina Israeliana lascerà l’area al cessate il fuoco, ma il provvedimento che ne definisce le coordinate geografiche a 50 mg. dalla costa resterà probabilmente in fase “dormiente”, pronto ad essere riattivato all’occorrenza.
Al momento non si può invece prevedere quale sarà la governance degli spazi marittimi della Striscia. Un problema è la revoca del regime della Zona di sicurezza della pesca istituita da Israele a partire dal 2000 limitando progressivamente la possibilità di pescare per la popolazione di Gaza. Probabilmente, il Ctt procederà a ripristinare la libera attività di pesca locale. Non va dimenticato peraltro che le funzioni della nuova Amministrazione che ci si appresta a creare sotto gli auspici degli Stati Uniti saranno simili a quelle mandatarie assegnate alla Gran Bretagna dalla Lega delle Nazioni nel 1919, sulla base del Trattato di pace di Versailles che pose fine alla I Guerra mondiale.
Un’altra questione riguarda lo sfruttamento degli ingenti giacimenti di gas localizzati nella Zee di Gaza che è contigua a quella delimitata nel 2010 da Israele con Cipro. Nel 2023 si è parlato da parte israeliana della concessione di blocks energetici a varie società, tra cui Eni, senza tuttavia che si avessero conferme. In realtà, dello sfruttamento della Zee palestinese si vocifera da anni e la “Palestina” ne ha formalmente rivendicato la titolarità depositando nel 2019 alle UN un provvedimento di istituzione. Israele ne ha contestato la legittimità.
Ora tutti questi nodi verranno al pettine. Si ripartirà dagli Accordi di Oslo del 1993 che davano all’Autorità nazionale palestinese giurisdizione su acque territoriali e giacimenti offshore? Ed Israele passerà al Ctt i poteri sulla Striscia, compresi quelli di sfruttamento energetico, esercitati in regime di occupazione bellica?
È indubbio come al momento ci sia la volontà di riconoscere alla popolazione della Striscia i diritti sui mari antistanti, compresi i benefici finanziari derivanti dal loro sfruttamento.
Per Israele, questa è l’occasione di mostrare la sua volontà di ripartire su nuove basi verso l’ipotetica soluzione dei “Due Stati”.