Saggezza, malattia, esperienza, declino, sicurezza, prestigio, sofferenza. Le parole che associamo al concetto di vecchiaia rispecchiano la considerazione che gli anziani hanno avuto nel corso dei secoli. Il loro ruolo nella società è infatti cambiato a seconda dei modelli familiari e dei valori sociali, economici e politici tipici di ogni periodo storico.. DALLA BIBBIA. La vecchiaia ha avuto un ruolo ambivalente fin dalle prime civiltà. Nella cultura ebraica la longevità simboleggiava una benedizione di Dio, e non a caso alcuni protagonisti delle Sacre Scritture hanno un'età improbabile: Adamo 930 anni e Matusalemme 969. In linea di massima nelle epoche (o gruppi sociali) in cui la morte arrivava presto, barba e capelli bianchi conferivano un che di soprannaturale.
Questo, però, non assicurava agli anziani sempre un'esistenza tranquilla. Sul loro destino pesavano anche altri fattori. La scarsità di cibo, per esempio, causava l'abbandono o addirittura l'uccisione dei più vecchi, considerati improduttivi. Così nel Nord della Siberia chi non era più in grado di cacciare si suicidava o si lasciava morire. I Turchi-Mongoli, invece, rispettavano solo gli anziani in buona salute, arrivando perfino a soffocare chi non lo era. In molte società gli anziani ricoprivano il ruolo di stregoni e sacerdoti, con il compito di mediare col mondo dei morti.. GRECIA: FORTUNE ALTERNE. Per una civiltà che amava la bellezza, la vecchiaia era una maledizione. Per gli dèi dell'Olimpo la felicità suprema era l'eterna giovinezza e proprio questo fu il dono che Zeus fece a Ganimede. In realtà, nella società greca i vecchi godettero di fortune alterne. Erano presenze importanti nei consigli cittadini e istitutori di giovani rampolli, ma venivano anche trascurati dai parenti: usanza che doveva essere parecchio diffusa se gli Ateniesi furono costretti a emanare varie leggi in merito.
Chi non provvedeva al sostentamento dei genitori veniva colpito da atimia: ossi veniva privato dei diritti politici e civili. Anche i filosofi non amavano la terza età. La concezione politica di Aristotele escludeva gli anziani dal governo della polis a favore di militari di età media.. Meglio tra gli Spartani. A Sparta le cose andavano meglio. Gli anziani guerrieri, per esempio, ricoprivano incarichi pubblici. E dei 30 membri della gherusia, un'assemblea con funzioni legislative e giudiziarie, 28 erano spartiati ultrasessantenni e i restanti i due re di Sparta.. I PADRI DI ROMA. Come ha scritto lo storico francese Georges Minois in Storia della vecchiaia dall'antichità al Rinascimento, «i Romani hanno parlato molto dei vecchi, ma di rado per lodarli». Però nel periodo repubblicano gli anziani ebbero un ruolo importante. Il diritto romano, attraverso l'istituto del pater familias, attribuiva al capofamiglia anziano un grande valore. Il suo era un potere assoluto con un'autorità senza limiti su tutti i membri della famiglia. Per esempio, poteva abbandonare i neonati e vendere i figli come schiavi. Il passaggio all'impero, nel 31 a.C., segnò la perdita di questo ruolo politico e sociale.. MEGLIO LA MORTE. L'istituzione del pater familias s'indebolì, come il potere del Senato, composto da anziani. Nelle commedie di Plauto i vecchi venivano rappresentati con disprezzo e peggio era per le donne attempate, contro le quali molti autori, fra i quali Orazio, si accanivano crudelmente. Anche Seneca sosteneva che era meglio saper morire quando la vita diventava troppo penosa. Quel che è certo è che aumentarono i casi di suicidio in vecchiaia.. ARRIVA IL NONNO. L'Alto Medioevo fu un periodo cupo per gli anziani, impotenti contro la legge del più forte. La loro vita non valeva granché: per l'uccisione di un vecchio il "rimborso" era lo stesso che per un bimbo di dieci anni. Dal VI secolo, in Europa, gli anziani più ricchi iniziarono a scegliere di lasciare la vita attiva e ritirarsi in monastero, soluzione che avrebbe garantito la salvezza eterna.
Nel XIV secolo accadde qualcosa di eccezionale. In una società in cui solo l'8% della popolazione raggiungeva i 60 anni arrivò la Peste nera che scombussolò tutto. Il flagello del 1348 falcidiò infatti bambini e adulti, ma risparmiò i vecchi. Il numero degli anziani aumentò di colpo e nelle famiglie finirono per coabitare più generazioni. Non a caso nel '400 si fece strada una figura inedita: il nonno.. CINQUECENTO CRUDELE. Nel Rinascimento la giovinezza era simbolo di bellezza e vitalità, mentre la vecchiaia segnava la fine dello slancio vitale e creativo. Il '500 iniziò con tre giovani sovrani – Francesco I, Enrico VIII e Carlo V – ma si concluse all'insegna della gerontocrazia con Elisabetta I (morta a 70 anni), Filippo II (74) e Solimano il Magnifico (72). Anche gli aristocratici europei iniziarono a vivere più a lungo, suscitando ammirazione quasi fossero protagonisti di un'impresa sportiva.
Per il popolo, come ha scritto Luigi Lorenzetti nel libro Gli anziani e la città (Carocci), fu invece un periodo di indifferenza nei confronti dell'età, che non conferiva alcuna autorità o prerogativa se non quella legata al proprio status sociale ed economico. Nelle città europee poveri, orfani e anziani erano percepiti come un pericolo. Per questo vennero emanate le prime leggi di segregazione sociale: il primato fu di Venezia, che nel 1528 dispose di rinchiudere i vecchi negli ospedali insieme a pazzi e malati.. INFINE, L'OSPIZIO. Il '700 segnò un punto di svolta nella percezione dell'anziano. L'Illuminismo contribuì a darne un'immagine positiva: la vecchiaia diventò l'età della saggezza. In campagna, per tutto l'800 e parte del '900, la famiglia patriarcale assegnava agli anziani un ruolo importante nella società agricola, ma in città le cose erano diverse.
L'industrializzazione evidenziò "l'inutilità" di chi non lavorava più. Si moltiplicarono strutture come gli ospizi, che escludevano gli anziani dalla società, e incarnavano l'ideale di efficienza e controllo tipico della nuova borghesia..