Putin esita su Istanbul: è lui l’ostacolo alla pace, non Zelensky
- Postato il 14 maggio 2025
- Di Il Foglio
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Putin esita su Istanbul: è lui l’ostacolo alla pace, non Zelensky
Al direttore - Il dilemma di Vlad: “Mi si nota di più se vado o se non vado a Istanbul?”.
Michele Magno
Si nota molto il fatto che vedere Vlad con il cerino in mano può aiutare Donald a ricordare che l’ostacolo alla pace in Ucraina non si chiama Zelensky: si chiama Putin.
Al direttore - Il grande cambiamento che sta attraversando il nostro tempo non è tanto lo scontro tra democrazie e autocrazie, quanto il rischio sempre più concreto che la disgregazione delle democrazie liberali occidentali avvenga dal loro interno, attraverso la contestazione sempre più aggressiva dei princìpi su cui queste si fondano: la libertà individuale, il rispetto e il riconoscimento di diritti umani inviolabili, l’uguaglianza e la solidarietà sociale. Partendo da questa constatazione, a Milano abbiamo deciso di fondare il circolo “Giacomo Matteotti” per avere e offrire uno spazio di dibattito franco, libero, aperto. Siamo persone diverse, con storie diverse. Liberali, socialisti, popolari, progressisti. Alcuni credenti, altri no. Alcuni appartenenti a partiti, altri no. Alcuni attivi nelle istituzioni a vari livelli, altri no. Tutti convintamente europeisti e determinati a impegnarci per un rafforzamento radicale dell’Unione, premessa inderogabile per un’Italia più forte e giusta. Non intendiamo fondare nuovi partiti o movimenti politici, costituire coalizioni tra partiti esistenti, inserirci nei loro dibatti interni, né favorire o sostenere loro correnti. Ci siamo ritrovati, ciascuno a titolo personale e pur nelle nostre diversità, uniti dal bisogno di riaffermare il coraggio di un confronto approfondito, alieno a pregiudizi e preconcetti, basato su dati scientifici oggettivi, curioso della complessità e anche della contraddittorietà del mondo che ci circonda, capace di coglierne le trasformazioni e disponibile ad adattare a esse le risposte, senza intrappolarci in schemi rigidi e immutabili. Un confronto che cerchi anche di recuperare il senso delle parole, troppo spesso abusate e svuotate in un dibattito pubblico polarizzato, semplificato e impoverito, in cui si confonde la libertà con la prepotenza, la pace con la resa, il diritto con l’arbitrio. Vogliamo sviluppare un pensiero libero e innovativo e risvegliare il desiderio di partecipazione di tutti coloro che si sentono uniti da un interesse comune superiore a ogni appartenenza individuale, ossia quello di proteggere e rivivificare i princìpi di libertà, democrazia, uguaglianza, autodeterminazione, stato di diritto, divisione dei poteri su cui si sono fondate la nascita della nostra Repubblica e dell’Europa. Nel grande mare agitato delle trasformazioni del mondo vogliamo provare a tracciare una mappa di idee e riflessioni con tutti coloro che vorranno contribuire con la propria capacità, competenza, creatività. Partiamo il prossimo 15 maggio a Milano, una città che esprime naturalmente l’esigenza di una risposta politica a nazionalismi, sovranismi e populismi, avendo tratto da sempre la propria forza dalla capacità di aprirsi alle differenze, tenerle insieme e trasformarle in un motore di sviluppo, innovazione, crescita economica e solidarietà sociale. Ci vediamo, dunque alle ore 19, in Cascina Cuccagna.
Lisa Noja
Ottima idea. In bocca al lupo!
Al direttore - Gentile direttore, complimenti per l’articolo sul “futuro gioioso” della Chiesa. Mi ha colpito la citazione del cardinale Müller: “La tentazione di sostituire la coscienza personale con un’identità collettiva obbligatoria”. Leone XIV mi dà la fiducia e la speranza che la Chiesa torni a far parlare ogni singola coscienza. Spero che questa ricca varietà di coscienze, nell’unità della fede, venga recuperata e valorizzata. Un piccolo esempio potrebbe intanto venire dalla composizione del collegio dei cardinali. Oggi ne vediamo esclusi, per motivi che sfuggono (o forse no), vescovi che sono alla guida delle più grandi diocesi del mondo. Mi pare una applicazione superficiale del principio secondo il quale gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi. Ogni Chiesa locale ha i propri primi e i propri ultimi. Se un vescovo non è degno di essere cardinale, non è neppure adatto a guidare una grande diocesi e viceversa. Bisognerebbe essere conseguenti.
Paolo Galli
A proposito di simbolismi, un altro spunto prezioso offerto ieri dal Wsj. Nel 1535, Papa Paolo III nominò cardinale John Fisher, prigioniero di Enrico VIII, sperando di salvarlo. Il re rispose: “Il Papa può mandargli un cappello, ma mi assicurerò che non abbia una testa su cui indossarlo”. Oggi i papi non rischiano la decapitazione, ma il nuovo Pontefice, come Wojtyla o Francesco, ha ancora un potere non misurabile in legioni: quello di sfidare i re del mondo con la forza della coscienza. Tutto questo, scrive il Wsj, perché è vero che non possiamo ancora conoscere la sostanza del primo papato americano, ma possiamo riconoscerne il simbolismo: un riequilibrio del ruolo immanente degli Stati Uniti sul pianeta e un Donald Trump, l’americano più famoso al mondo, affiancato sul palco da un connazionale diverso e forse ancora più influente di lui. Chissà.