Promontorio di Capocolonna: accolto ricorso dei Grande Aracri
- Postato il 31 luglio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Promontorio di Capocolonna: accolto ricorso dei Grande Aracri
Accolto ricorso dei familiari del boss Grande Aracri, in discussione la perimetrazione della zona d’interesse archeologico di Capocolonna
CROTONE – Potrebbe avere effetti sulla perimetrazione della zona di interesse archeologico del promontorio di Capocolonna la decisione con cui Consiglio di Stato ha accolto il ricorso dell’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, e di alcuni suoi familiari. Il CdS ha annullato il decreto con cui il presidente della Commissione regionale per il Patrimonio culturale della Calabria ha perimetrato un’area sottoposta alla tutela paesaggistica ex lege quale zona di interesse archeologico nella località di Crotone. I giudici hanno accolto il ricorso dell’avvocato Francesco Scalzi ribaltando la pronuncia del Tar che aveva respinto un ricorso dei Grande Aracri.
CAPOCOLONNA E GRANDE ARACRI: INCOMPETENZA DELLA COMMISSIONE
I ricorrenti sono proprietari di immobili situati nel promontorio di Capocolonna, qualificato dalla Soprintendenza della Calabria come zona di interesse archeologico nel 2016. La Commissione regionale per il patrimonio culturale della Calabria ha perimetrato le aree sottoposte alla tutela paesaggistica, dettando la relativa disciplina d’uso alla quale sarebbero stati sottoposti gli immobili ricompresi nella zona di interesse archeologico, tra cui quelli di proprietà dei Grande Aracri. il Secondo i ricorrenti, il provvedimento avrebbe illegittimamente imposto un vincolo indiretto sui loro beni. Il Tar aveva respinto il ricorso poiché il decreto non impone alcun vincolo indiretto sui beni dei ricorrenti e perimetra una zona di interesse paesaggistico. Le zone di interesse archeologico, infatti, sono comunque, per legge, zone di interesse paesaggistico.
LA TESI DEI RICORRENTI
Con lo stesso decreto l’amministrazione aveva peraltro perimetrato la zona paesaggistica attraverso un’integrazione del contenuto delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico.
Gli appellanti hanno riproposto i motivi di censura. Incompetenza del presidente della Commissione regionale, che avrebbe solamente funzioni propositive, mentre il provvedimento dovrebbe essere adottato dalla Regione. Violazione della legge 241/1990 per difetto dall’avviso dell’avvio del procedimento nei confronti di tutti i proprietari dei suoli. Eccesso di potere per perplessità, contraddittorietà e pretestuosità, sviamento di potere, violazione di tipicità e nominatività, carenza assoluta di potere, carenza assoluta di istruttoria. Violazione del Decreto legislativo 42/2004, per non essere stato previamente approvato il piano paesaggistico.
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PIANO PAESAGGISTICO SENZA LA REGIONE
Secondo i giudici, che hanno esaminato anche la documentazione prodotta dal ministero della Cultura, il provvedimento impugnato è viziato da incompetenza, poiché la ricognizione dei beni paesaggistici ex lege è demandata ai piani paesaggistici da elaborarsi nell’esercizio delle competenze congiunte. Inoltre, il provvedimento impugnato «non chiarisce adeguatamente quale sia l’oggetto del provvedere e quale il relativo fondamento normativo». Le censure degli appellanti, secondo il collegio giudicante presieduto da Hadrian Simonetti, colgono nel segno là dove lamentano che si sarebbe dovuto adottare il piano paesaggistico con il coinvolgimento della Regione. Il CdS richiama il Codice dei beni culturali e paesaggistici e precisa che comunque rimane “ferma” la possibilità per il Ministero di adottare un provvedimento «adeguatamente motivato, anche in ordine alla propria competenza a provvedere, nel rispetto del vincolo».
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