Processo “Maestrale”, l’avvocato Sabatino non agevolò i clan del vibonese

  • Postato il 16 settembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Processo “Maestrale”, l’avvocato Sabatino non agevolò i clan del vibonese

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Le motivazioni del processo “Maestrale-Carthago” si soffermano sulla posizione dell’avvocato Francesco Sabatino assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: “Rapporto ambiguo dell’imputato con soggetti di rilievo nell’ambito della criminalità organizzata ma nessuna sussistenza di contributi concreti da parte dello stesso alla criminalità organizzata vibonese”


VIBO VALENTIA – Oltre 1.200 pagine di motivazioni quelle scritte dal gup distrettuale di Catanzaro, Pietro Agosteo, sull’esito del filone in abbreviato del processo “Maestrale-Carthago” conclusosi il 20 marzo di quest’anno con 50 condanne, 39 assoluzioni e due prescrizioni.

E tra le assoluzioni più rilevanti spicca indubbiamente quella dell’avvocato del foro di Vibo Francesco Sabatino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e nei cui confronti la Dda catanzarese aveva chiesto la condanna a 8 anni e 9 mesi di reclusione. A passare alla fine è stata la linea difensiva degli avvocati Michelangelo Miceli e Sergio Rotundo.

LE ACCUSE MOSSE DALLA DDA ALL’AVVOCATO SABATINO

L’ipotesi di concorso esterno veniva declinata nella illecita messa a disposizione, da parte del Sabatino, di taluni servizi connessi all’esercizio della propria attività professionale di avvocato nei confronti del sodalizio.

A tenore dell’editto d’accusa, il nucleo essenziale del contributo causale offerto dall’avvocato Sabatino si declinava essenzialmente nell’aver consentito agli associati di eludere le investigazioni a loro carico, di acquisire notizie riservate su indagini in corso e di aver garantito ai soggetti detenuti un canale di comunicazione con l’esterno.

Il corposo compendio acquisito in sede dì indagine risultava costituito dagli esiti della attività di intercettazione telefonica e ambientale, dalle evidenze documentali acquisite in via investigativa (analisi sistemi di videosorveglianza, esiti dei servizi di Ocp), nonché dai contributi dichiarativi resi dai collaboratori di giustizia Andrea Mantella, Emanuele Mancuso, Raffaele Moscato, Bartolomeo Arena e Pasquale Alessandro Megna.

COL BOSS ACCORINTI SOLO UN APPORTO TECNICO-PROFESSIONALE

per quanto concerne le risultanze delle intercettazioni emerge ad esempio che, nel corso delle conversazioni intercorrenti tra il boss di Zungri Peppone Accorinti e l’avvocato Sabatino, “non siano mai stati trattati contenuti di natura illecita in quanto i dialoghi si sono limitati a tematiche strettamente connesse all’esercizio del mandato difensivo. Inoltre, sempre con riferimento ai rapporti con il vertice della Locale di Zungri, il compendio intercettivo ha fatto emergere un progressivo deterioramento del legame tra l’Accorinti e Sabatino”.

In particolare, il primo manifestava reiterate rimostranze nei confronti del legale, arrivando persino a rivolgergli gravi minacce, poiché riteneva che il penalista riservasse prioritaria attenzione alla difesa degli appartenenti al clan Mancuso, trascurando — a suo dire — le vicende processuali di diretto interesse dello stesso Accorinti.

In sentenza il giudice specifica inoltre che dai dialoghi, “se da un lato emerge un’anomala vicinanza personale ai partecipi del sodalizio di Zungri, dall’altro risulta esclusivamente l’apporto tecnico-professionale prestato da Sabatino, nonché le difficoltà derivanti dalle note intemperanze caratteriali del boss, senza che si rinvenga alcun elemento idoneo a dimostrare lo svolgimento di attività eccedenti il perimetro della funzione difensiva tali da fornire un contributo causale agevolativo in favore del sodalizio”.

DA SABATINO NESSUN COMPORTAMENTO AGEVOLATIVO A FAVORE DEI MANCUSO

Scorrendo le motivazioni della sentenza Maestrale, con riferimento al presunto apporto fornitoalla famiglia Mancuso, il compendio intercettivo riporta, quale ulteriore elemento a carico, una serie di conversazioni — da ritenersi, tuttavia, inutilizzabili in quanto strettamente connesse al mandato difensivo in essere tra l’avvocato Sabatino e Mancuso Giuseppe Salvatore — nelle quali, comunque, il legale “si limitava a informarsi con il personale della cancelleria del Tribunale in merito al ritardo nell’esecuzione di un’ordinanza di sostituzione misura cautelare, in accoglimento di un’istanza da lui stesso previamente depositata”.

E alle richieste di informazioni circa il possibile avvio della collaborazione di Emanuele Mancuso avanzate dal suo nucleo familiare, secondo il giudice, dall’analisi del contenuto delle conversazioni “non emerge alcun comportamento concretamente agevolativo da parte del Sabatino in favore del sodalizio”; al contrario, è lo stesso legale a precisare, nel corso di un dialogo con Giuseppe Salvatore Mancuso, di “non aver preso parte all’udienza relativa al procedimento del fratello proprio in ragione della revoca del mandato, intervenuta da parte del neo collaboratore di giustizia”.

Inoltre, risultano anche “prive di rilevanza penale” le conversazioni relative all’ipotesi di pubblicazione, da parte della famiglia Mancuso, di un articolo di stampa sulla collaborazione di Mancuso Emanuele, rispetto alle quali Sabatino si “limitava a fornire consigli legali, invitando gli interlocutori ad adottare un atteggiamento improntato alla cautela e conforme ai canoni della difesa processuale e non mediatica”.

SENTENZA MAESTRALE: I RAPPORTI CON GALATI E LA COSCA PARDEA-RANISI

Il magistrato non ravvisa inoltre condotte agevolative poste in essere da Sabatino in favore di Michele Galati, esponente ritenuto al vertice dell’omonima cosca di Mileto, considerato che, come peraltro affermato dallo stesso imputato nel corso delle dichiarazioni spontanee rese, l’affermazione dell’imputato circa la comunicazione ricevuta dal legale Sabatino in ordine all’imminente esecuzione di ulteriori arresti (“Sabatino me lo diceva che stanotte si pigliavano pure a gli altri”) “non appare riconducibile alla trasmissione di una notizia riservata, illecitamente carpita dal legale, quanto piuttosto ad una previsione coerente con lo sviluppo procedimentale successivo all’emissione del decreto di fermo”.

Stessa decisione in ordine al presunto apporto alla cosca dei Pardea-Ranisi che temevano una grossa operazione, “Rinascita-Scott”, e chiedevano informazioni in quanto, secondo il gup, rispetto alla ricostruzione offerta dall’ufficio di Procura in sede di discussione, il segmento nevralgico dell’intercettazione tra Domenico Macrì e i suoi sodali, ove si rappresentava la possibilità di rendersi latitanti in caso di effettiva inoculazione del trojan nei loro dispositivi, “non si sviluppava alla presenza dell’avvocato Sabatino — presso il cui studio si recava unicamente Macrì — bensì in arco temporale successivo rispetto alla visita di quest’ultimo nello studio del difensore”, né Sabatino ha fornito informazioni a Macrì sull’operazione “Nemea”, limitandosi a replicare di non essere in grado di fornire tale informazione, trovandosi in possesso esclusivamente del decreto di fermo.

MAESTRALE, L’AVVOCATO SABATINO E I COLLABORATORI DI GIUSTIZIA

In ordine all’attendibilità dei collaboratori di giustizia, il gup opera alcuni distinguo. Innanzitutto rileva che il contributo dichiarativo reso dall’avvocato Francesco Stilo risulta “intriso da profili di estrema inattendibilità — peraltro già evidenziati in sede di riesame e trattandosi, inoltre, di fonte già tacciata di inattendibilità in sede di istruttoria dibattimentale nell’ambito del procedimento Rinascita Scott —, non avendo, peraltro, mai completato alcun percorso di collaborazione con la giustizia e avendo dato atto di nutrire una forte acredine nei confronti dell’odierno imputato, laddove Stilo Francesco, nella consapevolezza di essere intercettato, forniva scientemente false dichiarazioni contra alios”.

In merito agli ulteriori apporti dichiarativi, il magistrato segnala che le propalazioni rese da Raffaele Moscato e Bartolomeo Arena “non assumono contenuto probatorio significativo, presentandosi affatto generiche. Il primo si limita a riferire del contributo offerto dall’avvocato Sabatino in termini del tutto neutri, affermando genericamente che lo stesso era il difensore di Mancuso e di Giuseppe Antonio Accorinti, senza ulteriori specificazioni”.

Arena, dal canto proprio, si è parimenti “limitato a menzionare in modo meramente apodittico — in difetto di qualsiasi supporto argomentativo o elementi oggettivamente riscontrabili — l’avvocato Sabatino tra i legali che avrebbero intrattenuto rapporti diretti ed extraprofessionali con esponenti apicali della ’ndrangheta vibonese. Lo stesso Arena, peraltro, ha espressamente dichiarato di non essere a conoscenza di condotte infedeli specificamente poste in essere dal predetto legale”.

LE ACCUSE DI MANTELLA E LE INCONGRUENZE SUL PIANO DI FUGA

Differente il discorso attuato per l’ex boss di Vibo, Andrea Mantella, ex cliente di Sabatino, che chiama il legale in causa in numerosi episodi. Il giudice, a fronte della specificità delle accuse mosse, compie una attenta valutazione del relativo narrato.

In ordine al presunto piano di fuga di Mantella dall’ospedale di Tropea, per il magistrato emerge una “rilevante incongruenza nella ricostruzione offerta dal collaboratore di giustizia. In particolare, a fronte della versione fornita dal Mantella — secondo cui il concordato piano di fuga sarebbe stato sventato dall’improvviso sopraggiungere degli operanti della Polizia di Stato, i quali si sarebbero persino accorti della presenza dell’avv. Sabatino, redarguendolo per l’asserita condotta agevolativa — le dichiarazioni rese dagli stessi operanti, escussi dapprima nel 2017 e successivamente nel 2024, descrivono un intervento del tutto incompatibile con la narrazione prospettata dal collaboratore”.

In proposito, il gup evidenzia come lo stesso ispettore capo Condoleo, primo operante a intervenire presso il nosocomio di Tropea, abbia riferito di aver trovato Mantella disteso sul letto, con le flebo ancora inserite, circostanza che “risulta manifestamente inconciliabile con la narrazione del collaboratore, secondo cui l’incontro con gli operanti sarebbe avvenuto nei pressi dell’uscita dell’ospedale”.

FORTE VULNUS SULLA LOGICA DEL RACCONTO DI MANTELLA

Del resto, riporta ancora la sentenza, il propalato del Mantella, con riferimento al rocambolesco piano di fuga concertato in sinergia con l’avvocato Sabatino, sconta un “forte vulnus in termini di logica interna del racconto. Non risulta infatti comprensibile la ragione per cui tale piano avrebbe dovuto prevedere un ricovero presso il nosocomio di Tropea in attesa dell’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, laddove — in termini di mera funzionalità — esso avrebbe potuto essere più agevolmente organizzato presso l’abitazione dello stesso Mantella, che si trovava, peraltro, già sottoposto alla misura degli arresti domiciliari”.

I MOTIVI DI RISENTIMENTO DI MANTELLA E LA TRASMISSIONE DEGLI ATTI ALLA PROCURA

Quale ulteriore elemento ritenuto idoneo a incidere negativamente sulla credibilità del collaboratore — limitatamente alla posizione dell’avvocato Sabatino — il giudice non può omettere di considerare l’esistenza di “motivi di risentimento nei confronti del giudicabile, derivanti dal pregresso rapporto professionale intercorrente tra le parti” e sul punto “non può, invero, sottacersi la carica fortemente intimidatoria sottesa alla missiva oggetto di inoltro da parte di Mantella”.

Pertanto, tali condotte di risentimento “impongono la trasmissione degli atti all’Ufficio di Procura in sede per gli opportuni approfondimenti in ordine all’eventuale sussistenza di condotte penalmente rilevanti poste in essere da Mantella nell’ambito delle dichiarazioni rese a carico dell’avvocato Sabatino”.

DA SABATINO RAPPORTI DI CORDIALITà MA PRIVI DI RILEVANZA PENALE

Altro punto a favore del penalista, scorrendo la sentenza di “Maestrale-Carthago” risiede nell’attività di messa a disposizione dei fascicoli processuali dove i collaboratori di giustizia Mancuso e Megna “si limitano, invero, a valorizzare l’esistenza di rapporti di cordialità e frequentazione esistenti tra l’avvocato Sabatino, elementi apicali del clan Mancuso e il boss di Zungri Accorinti Giuseppe Antonio.

Tali dichiarazioni, concernenti anche la partecipazione del legale a momenti conviviali con membri della famiglia Mancuso — rileva il gup Agosteo — appaiono prive di rilevanza probatoria, in quanto meramente descrittive, in assenza di ulteriori elementi specifici, delle modalità con cui il Sabatino esercitava la propria attività professionale.

La mera frequentazione di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata in contesti non strettamente professionali non può, di per sé, costituire indice della commissione di condotte penalmente rilevanti, tanto più ove si consideri il ruolo di difensore che il Sabatino ha assunto nel tempo nei confronti di tali esponenti della criminalità organizzata vibonese”.

Più nello specifico, si evidenzia la “scarsa significatività del narrato di Mancuso laddove lo stesso si limita a descrivere il Sabatino quale abituale frequentatore della sua abitazione”. E sempre da tale narrato “non emergono elementi che consentano di inferire che il legale abbia contribuito ad agevolare l’irreperibilità di Pantaleone Mancuso, dovendosi piuttosto le sue interlocuzioni con la moglie de “L’ingegnere” ricondursi a quella legittima attività di informazione e consulenza preventiva resa dal difensore nei confronti di un prossimo congiunto di un proprio assistito”.

PROCESSO MAESTRALE, LE CONCLUSIONI DEL GIUDICE SULL’AVVOCATO SABATINO

Andando alle conclusioni sulla figura del penalista, il magistrato rileva che dall’ampio e articolato compendio probatorio agli atti, pur potendosi riconoscere “l’esistenza di un rapporto ambiguo dell’imputato con soggetti di rilievo nell’ambito della criminalità organizzata, escluse le dichiarazioni rese dal collaboratore Mantella, non è possibile affermare la sussistenza di contributi concreti da parte dell’avvocato Sabatino idonei a integrare la fattispecie contestata, essendo emersi – conclude sul punto il giudice che ha trattato il processo Maestrale – soltanto indizi carenti dei requisiti di completezza e precisione”.

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