Processo Glicine, il pentito Farao ripercorre il patto elettorale con gli Sculco
- Postato il 19 dicembre 2025
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Processo Glicine, il pentito Farao ripercorre il patto elettorale con gli Sculco

Serrata udienza del processo Glicine, il pentito Farao rievoca il patto con gli Sculco ma nega di aver fatto campagna elettorale
CROTONE – «Mio cugino Giuseppe Berardi mi chiese se potevo dargli una mano per far votare la figlia di Enzo Sculco, racimolando qualche voto tra i miei dipendenti. Non l’ho fatto perché all’epoca ero molto impegnato in azienda, preparavamo la stagione estiva, non andai nemmeno a votare». Lo ha detto il pentito Francesco Farao, davanti al Tribunale penale di Crotone, rispondendo alle domande del pm Alessandro Rho nel corso di una serrata udienza del maxiprocesso Glicine-Acheronte.
Il punto in questione era il presunto appoggio elettorale della cosca Farao Marincola alle elezioni regionali del 2014 per Flora Sculco, figlia dell’ex consigliere regionale. Enzo Sculco, si ricorderà, è uno dei principali imputati essendo ritenuto il promotore di un presunto comitato d’affari. Mentre il cugino del collaboratore di giustizia è l’ex assessore ai lavori pubblici e vicesindaco del Comune di Cirò Marina, condannato in via definitiva, nel processo Stige, per concorso esterno in associazione mafiosa.
SCULCO “UOMO DI PUNTA”
Stando alla sua versione, lui non si è impegnato in campagna elettorale ma l’orientamento di voto all’interno della consorteria criminale era chiaro. «Mio cugino mi disse che dovevamo portare Enzo Sculco. Perché era lui l’uomo di punta. Se serviva qualcosa a livello burocratico, poteva abbreviare i tempi. Avremmo avuto benefici tutti noi in quanto famiglia di ‘ndrangheta». L’esame del teste è stato continuamente inframezzato da contestazioni della difesa (e in particolare degli avvocati Mario Nigro, Antonio Lo Monaco e Gianni Russano) che riteneva le domande del pm suggestive o nocive. Il controesame potrebbe proseguire alla prossima udienza, ma la difesa si è riservata di procedere eventualmente dopo la lettura del verbale.
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FAVORI DEL COMUNE ALLA COSCA
Dopo aver ripercorso il passaggio di Berardi dal Pd al movimento territoriale di Sculco, i Demokratici, il pentito ha sostanzialmente riferito di non aver fatto personalmente campagna elettorale. Prima ha negato che la cosca traesse un vantaggio diretto dall’amministrazione comunale e ha difeso l’operato del cugino, apprezzato perché «il paese cresceva». E poi, i plenipotenziari del clan non lucravano sugli appalti pubblici. «Avevamo le nostre aziende». Ma dopo la contestazione del pm, Farao ha ripercorso «favori e concessioni» dell’amministrazione comunale di Cirò Marina al clan in materia di porti, lidi e palasport.
PATTO ELETTORALE
Quindi, ha ripercorso anche il presunto patto per le elezioni provinciali e regionali, richiamando anche la posizione di Roberto Siciliani, ex sindaco di Cirò Marina condannato anche lui in via definitiva nel processo Stige. «Si era candidato Roberto Siciliani quale presidente della Provincia, per una manciata di voti non passò. Berardi mi chiese di appoggiare la Sculco per avere vantaggi. Se si votava per la Sculco si doveva anche fare un presidente della Provincia di Cirò Marina. Era sempre stato di Crotone il presidente e per la prima volta sarebbe stato un sindaco di un Comune della provincia anziché del capoluogo. Così avremmo avuto più potere». Secondo l’accusa, Enzo Sculco si sarebbe rivolto ai politici cirotani ottenendo la promessa di procurare voti per la propria figlia. Quale “contropartita”, i voti di Siciliani, di Berardi e della consorteria cirotana sarebbero dovuti confluire a sostegno di Flora Sculco. Tra gli esponenti della cosca che avrebbero fatto proselitismo per lei, il pentito indica Vittorio Farao, figlio di Silvio, uno dei capi storici del clan.
IL LINGUAGGIO FORBITO DEL BOSS
L’udienza è stata caratterizzata anche da lunghe dichiarazioni spontanee di Domenico Megna, boss di Papanice e tra i principali imputati. Megna, come sta facendo nel corso di più udienze, legge pagine e pagine in cui, con linguaggio forbito, contesta le rivelazioni dei collaboratori di giustizia, definendoli come un «de relato infinito». Inoltre, contesta la ricostruzione della Dda di Catanzaro che avrebbe a tutti i costi voluto far entrare la ‘ndrangheta in un processo che aveva la sua «genetica» nella politica creando così il «mostro bicefalo Glicine-Acheronte».
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