Pro Pal: da noi fanno quello che vogliono, l’Egitto li caccia a calci
- Postato il 16 giugno 2025
- Di Panorama
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In questo caos anche sette attivisti italiani sono stati rimpatriati dall’Egitto e altri 36 sono stati rilasciati dopo essere stati fermati al Cairo con maniere forti, come si vede da molti video online. Molti di loro volevano aggregarsi alla #GlobalMarchtoGaza, un’iniziativa in coordinamento con la carovana terrestre Sumud e la missione della nave Madleen. Questi attivisti mirano a ottenere l’apertura del valico di Rafah, alla frontiera tra Egitto e Israele, attraverso negoziati con le autorità egiziane, coinvolgendo Ong, diplomatici e istituzioni umanitarie. Due studenti torinesi hanno affermato: «Ci hanno detto che la marcia non è autorizzata ma siamo liberi di girare al Cairo».
La scuola Holden, fondata dallo scrittore Alessandro Baricco, ha espresso solidarietà ai due ragazzi che fanno parte del gruppo che a Torino ha occupato con tende e barriere piazza Castello e piazza San Carlo ribattezzata «piazza Palestina». Probabilmente pensavano di andare in Egitto e poter fare, magari nei pressi di Rafah, quello che hanno fatto a Torino, ma quello che nell’Italia – in preda, secondo costoro, a una repressione politica di natura fascista – viene concesso loro di fare, nel democratico Egitto non è permesso. Una attivista e giornalista, due giorni fa, parlando da un pullman dal Cairo, ha raccontato in un video: «È stata una notte difficile. Tutti gli italiani sono stati fermati, privati dei documenti ed espulsi» e ha aggiunto – e qui ha colto nel segno -: «Stanno rimpatriando gli occidentali per evitare incidenti».
Ora, come potevano pensare gli organizzatori e gli attivisti della Global march to Gaza che l’Egitto potesse permettere loro di darsi appuntamento per tentare da lì di fare pressione e ottenere il via libera per proseguire il cammino verso il valico di Rafah? Lo ha spiegato la giornalista che abbiano citato sopra con poche parole. Il governo egiziano teme conseguenze negative da un punto di vista diplomatico. Al Sisi cerca da tempo di accontentare un po’ tutti: Israele, gli Stati Uniti, e anche i suoi concittadini favorevoli alla causa palestinese. È evidente che, confinando con Israele, combatte su due fronti, l’Egitto certamente non vuole prendere posizione favorendo l’entrata in Israele degli attivisti pro Palestina. Questo lo capisce anche un bambino: i Paesi della zona tendono a tenersi alla larga da una zona in fiamme, anche perché il conflitto con l’Iran, come ha affermato lo stesso Netanyahu, non è un’operazione militare ma una guerra.
Con tutto il rispetto nei confronti di tutti i manifestanti che si battono rispettando la legge (e non fottendosene come spesso è accaduto in Italia), questa vicenda ci ricorda le due ragazze attiviste, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, volontarie italiane rapite ad Aleppo nel Nord della Siria (dove da più di tre anni era in corso una complicata e sanguinosa guerra civile). Furono riportate in Italia nella notte tra il 31 luglio e il primo agosto del 2014, dopo essere state liberate in circostanze mai chiarite del tutto. Ebbene, Vanessa affermò che non sarebbe tornata in Siria per il momento perché la situazione laggiù, come si era resa conto, era insostenibile. Con tutto il rispetto per le buone intenzioni delle due ventenni, non occorreva andare in Siria per realizzarlo. Bastava guardare la televisione, ascoltare la radio o leggere qualche giornale.
A me pare che la situazione in Egitto non sia dissimile, quanto a percezione della realtà. Chi può pensare oggi di portare un contributo (mantenendo, per carità, un certo grado di comprensione delle buone intenzioni) alla soluzione del problema di Gaza tentando di passare dall’Egitto? Chi non sa che le diplomazie internazionali impegnate per un tentativo di trovare strade, almeno di alleggerimento dei conflitti in atto, faticano a occuparsi anche di assicurare la libertà e la vita di attivisti che vanno nella terra di Al Sisi pensando di portare un efficace contributo alla causa di Gaza? Ognuno ha la libertà di manifestare a favore di chi ritiene l’oppresso contro l’oppressore, ma il realismo non può lasciare il passo a un velleitarismo evidente e inefficace, se non dannoso, alla causa stessa che vorrebbero difendere.