Poteri e status a Roma, qualcosa eppur si muove. Sembra

  • Postato il 15 febbraio 2025
  • Di Il Foglio
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Poteri e status a Roma, qualcosa eppur si muove. Sembra

Correva l’ormai sideralmente lontano anno 2001. Nel generale quadro di un Paese che guardava alle autonomie con malcelato sospetto e necessità politica di sterilizzare o almeno limitare l’impeto della Lega, si procedeva alla più significativa modifica della nostra Carta costituzionale: l’intero titolo V ripensato, riscritto, con nuovi principi e un nuovo assetto che vedeva, per la prima volta, la valorizzazione, almeno cartolare, dei comuni e delle autonomie territoriali. Solo in quella occasione, per quanto possa apparire paradossale, Roma fece capolino nel testo costituzionale, nel nuovo articolo 114. Prima di allora, la capitalità era rimasta inespressa e fattuale: tutti sapevano che Roma fosse capitale d’Italia, ma la Costituzione serbava a tal proposito un imbarazzato silenzio, figlio in epoca di Assemblea costituente della ritrosia a citare, anche solo episodicamente, il nome di una città tanto centrale nella mitografia del fascismo. Dal 2001 a oggi, quasi questa non sia altro che una fiaba, si sarebbero potute registrare tante novità, e invece, non essendo questa una fiaba ma solo una sorta di “diario notturno” alla Flaiano, di novità vere non se ne sono registrate.

 

La piena, coerente attuazione del riconoscimento espresso della capitalità resta una chimera incagliata su scogli dei più vari: timidezza politica, veti incrociati, piccineria istituzionale. Qualche singolo frammento normativo, dal federalismo demaniale a quello fiscale, non ha comportato miglioramento di sorta e Roma continua a essere un Giano bifronte, capitale riconosciuta per costituzione da un lato e dall’altro comune che non può chiamarsi comune ma quello alla fine della fiera resta. Con tutti i sub-poteri di un comune, inadeguati tragicamente per garantire un governo razionale a un corpaccione tanto esteso e gargantuesco di quasi tre milioni di abitanti e con più dipendenti, tra diretti e delle partecipate, di cinque ministeri messi assieme.


Il 5 febbraio scorso, in commissione Affari Costituzionali della Camera, è   riemerso il testo dell’ennesimo disegno di riforma costituzionale che darebbe attuazione al riconoscimento della capitalità modificando ulteriormente la costituzione. Una matrioska, composta da ben quattro disegni riformatori importanti una ingegneria costituzionale che si sarebbe resa necessaria perché la politica avrebbe raggiunto un accordo di massima sull’idea di dare a Roma la natura e la forma della città-regione. 


Anche se l’accordo si biforca in quattro direzioni diverse. Sono stati auditi quindi due professori di diritto pubblico, Alessandro Sterpa e Fabio Giglioni che su Roma si interrogano da molti anni, ripercorrendone le vicissitudini giuridiche. Un posizionamento liminale, fantasmatico, perché Roma non è comune, lo abbiamo detto, ma non è nemmeno una città metropolitana e in questa ambiguità, in questo caos, si è avanzata la proposta di farne una regione, insignita di potestà legislativa nelle materie che la nostra costituzione conosce come di legislazione concorrente. Sterpa in particolare ha ricordato come e quanto l’esigenza di procedere a una sistemazione razionale, in chiave giuridica, dell’ente sia ormai un dato pacifico per tutte le forze politiche che avendo governato la capitale si sono ben rese conto della inadeguatezza dell’assetto attuale. Con un sindaco, non si parla di Roberto Gualtieri ma del sindaco come funzione, dai limitati poteri e con presidenti di municipio ornamentali nonostante rappresentino popolazioni da province.

   

L’audizione potrebbe far dire che qualcosa si è mosso e che l’ingranaggio dopo aver accumulato tanta polvere sembrerebbe aver ripreso a funzionare. A maggior ragione, poi, considerando che pochi giorni dopo si è tenuto il convegno organizzato da Forza Italia “Proposta di riforma costituzionale – più poteri per Roma Capitale”, con i ministri Elisabetta Casellati e Antonio Tajani, i parlamentari Paolo Barelli, Maurizio Gasparri, Nazario Pagano. Il problema è che dopo un’era geologica, siamo ancora al pur pregevole dibattito politico-dottrinale. Eppure se la politica volesse potrebbe  chiudere la questione e dare alla città la funzionalità che essa necessita.  Considerando che al di là di FI, il partito di Giorgia Meloni è storicamente romano-centrico.

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Autore
Il Foglio

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