Potere versus cultura
- Postato il 13 novembre 2024
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- Di Il Vostro Giornale
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“Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali” scrive Pier Paolo Pasolini nei suoi Scritti corsari pubblicati nel corso dei primi anni settanta del secolo scorso. Com’è distintivo per i grandi intellettuali, anche in questo caso lo sguardo critico dell’autore ha rivelato profonda lungimiranza che già stigmatizzava il rattrappimento intellettuale e morale al quale andava incontro la cosiddetta cultura espressa dalla malinconica promiscuità di prospettiva intellettuale di borghesi e sottoproletari. Inevitabilmente, quando si parla di cultura, si pensa alla scuola e, in particolare, all’università, ma sono convinto che molto spesso abbiamo incontrato laureati incapaci di osservare il mondo in modo critico ma, al contrario, arroccati su dogmi di fede che non erano in grado o non volevano osservare attraverso una lente liberamente analitica, così come “non titolati” dotati di una meravigliosa apertura mentale. La cultura, quella vera, non è garantita da nessuna certificazione, da nessuna patente istituzionale, ma solo dalla qualità e dalla curiosità del soggetto che ne è abitato. Certo, anche l’uomo più geniale vissuto nel deserto avrà avuto ben meno occasioni di crescita rispetto a un frequentatore di atenei, ma quanti cosiddetti “viaggiatori” conoscono solo villaggi turistici sparsi per il mondo e non hanno imparato il rispetto e l’amore per le diversità culturali. Potremmo affermare che gli elementi più importanti nel percorso di “edificazione culturale” siano la qualità del soggetto che vi accede e l’onestà intellettuale e la competenza di chi vi partecipa come formatore. La drammatica stagione del Covid, poi, ha tristemente suggerito alle menti più limitate la positiva opportunità di sostituire il ruolo docente, affidato a esseri umani, con il meccanico ricorso alla didattica predigerita rappresentata da “lezioni virtuali” e “oggettive verifiche a crocette”. La “annichilita clonazione della falsa cultura” denunciata dalla pedagogia junghiana ne risulterebbe assolutamente celebrata.
Il castrante pragmatismo esplicitato dall’affermazione pasoliniana lo si può riconoscere anche nelle parole che Esiodo, 2700 anni prima, il quale, nella sua Teogonia, definiva numerosi suoi contemporanei come ”uomini solo ventre”; in fondo non è cambiato molto da allora, sarà sufficiente, al posto dello stomaco, collocare i più recenti algoritmi e l’esito finale lo conosciamo tutti. Non è nemmeno da marginalizzare il fatto che Esiodo fosse un pastore e che non avesse ovviamente frequentato un’università, cosa che peraltro accade anche ai ministri della pubblica istruzione dei nostri giorni che, però, millantano lauree inesistenti. È questo il loro peccato? No, come già precisato esistono persone di profonda cultura prive di titoli e laureati di una becera ignoranza, va sottolineato, però, che i primi non ostenterebbero mai titoli che non possiedono e dei quali non hanno alcuna necessità, ne consegue che tali “ministri sedicenti titolati” non sono certo abitati da “profonda cultura”, ma accantoniamo le “dolenti note” della nostra provincialissima classe politica e torniamo alla cultura. Ricordo un antico compagno di liceo che si chiedeva se cultura è sapere come si scrive marijuana o saper rollare una canna. A modo suo sottolineava la dicotomia tra la teoria e la pratica, ma la vera questione è, proseguendo verso il cuore della riflessione, aver compreso a chi conviene il mercato della marjiuana, la legalizzazione o meno del prodotto, il fatto che tutto il resto passi in secondo piano, ma, forse ancor di più, domandarsi perché ancora oggi c’è qualcuno che trovi trasgressivo e altri criminale fumare dell’erba. L’impero intellettuale degli stereotipi e dei luoghi comuni invade i dibattiti e i confronti, nei quali sedicenti “opinionisti”, termine che in sé contiene una surrettizia celebrazione del pressapochismo dilagante, si limitano a sbandierare slogan da tifosi senza quasi mai tentare un approccio capace di un minimo di originalità e di senso critico.
Come non ricordare che né Socrate né Montale erano laureati eppure ci hanno regalato pensieri e poesia meravigliosi e illuminanti, forse perché la cultura non è una patente ma un viaggio e contano più coraggio, cuore e curiosità che banali esercizi di clonazione di saperi spesso banalotti e rimasticati da sedicenti professori. L’uomo colto non ha paura delle idee, è avvilito dall’arroganza della stupidità e afflitto dalla massificazione del pensiero ma prova sempre o guardare il mondo con gli occhi anche degli altri, parla con chi gli dà torto e spera di comprenderne le ragioni, insomma, è improbabile riconoscerlo tra il vociare confuso e aggressivo di tanti presunti intellettuali afflitti dall’urgenza di consenso che invadono i dibattiti massmediali. Quando la cultura si genuflette al potere ne diviene lo zerbino sotto il quale occultare la polvere della mediocrità, il potere è da sempre nemico della cultura, se le istituzioni scolastiche si riducono a essere espressione delle esigenze autoreferenziali del sistema che le mantiene, si genera un corto circuito pericoloso. Quanti docenti universitari sono eruditi, a volte altamente specializzati, ma individui mediocri, interessati a celebrare loro stessi e a obbligare i loro studenti a comprare i loro libri e a replicare le loro idee asmatiche. Fortunatamente sopravvivono intellettuali liberi e originali, non schierati, che, quasi mai, raggiungono il grande pubblico e sappiamo bene che, nell’ottica miope contemporanea, solo il consenso, la quantità possono essere segno di qualità: davvero così complicato cogliere il paradosso?
Nella Magna Charta Universitatum Europaeum del 1988 si afferma che “L’Università è un’istituzione autonoma che produce e trasmette criticamente la cultura mediante la ricerca e l’insegnamento. Per essere aperta alle necessità del mondo contemporaneo deve avere, nel suo sforzo di ricerca e d’insegnamento, indipendenza morale e scientifica nei confronti di ogni potere politico ed economico”, come sia divenuta area di parcheggio, concorrente svantaggiata di corsi on line, produttrice di titoli a largo consumo, resta un mesto interrogativo retorico. Non è corretto né intendo generalizzare, esistono atenei e docenti di eccellente qualità, ma l’ancillarità della cultura nei confronti del “professionalizzante corretto”, mi si permetta la nemmeno tanto occulta provocazione lessico intellettuale, ha generato quello che Pasolini aveva definito “una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali”. Credo sia utile precisare: la cultura è una specie di occhiali che ci andiamo a costruire giorno per giorno e che non dobbiamo mai dimenticare che si colloca tra i nostri occhi e ciò che osserviamo. È importante averne consapevolezza sia in fase di progressiva e costante realizzazione sia nel momento quotidiano dell’utilizzo. La spirale ermeneutica che si ingenera rischia di divenire miope e autoreferenziale, per essere espliciti, si finisce per vedere secondo i pregiudizi della lente così da confermare e far coincidere il visto con il visibile e con la “verità dell’oggetto”. Credo questo sia uno dei pericoli di quella cultura accademica che cancella l’intelligenza del soggetto e risolve tutto nella lente, nel suo impiego, nella sua esibizione dove spesso prevale la firma sulla montatura dell’occhiale piuttosto che la qualità della lente. Addirittura si rischia di dimenticare la tinta del filtro che, inevitabilmente, colora ciò che si osserva, in taluni casi c’è chi si inorgoglisce della cromatura costante di ciò che vede e poi racconta, chi denigra le tinte altrui, chi non sa o non vuole mai togliere i propri occhiali, chi è terrorizzato all’idea di poter utilizzare quelli di un altro, chi vorrebbe che tutti usassero il suo modello e il suo colore. Insomma, se la cultura è divenuta una cosa simile è ciò che di più lontano dalla libertà dell’intelligenza si possa immaginare, ma forse fa tendenza.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
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