Più manette, meno libertà?
- Postato il 15 aprile 2025
- Attualità
- Di Paese Italia Press
- 4 Visualizzazioni

di Francesco Mazzarella
Il Consiglio dei Ministri, il 4 aprile 2025, ha approvato un nuovo Decreto Sicurezza che riporta in primo piano un tema sempre più centrale nell’agenda politica: il rapporto tra ordine pubblico e libertà individuali. Un provvedimento ampio, composto da 34 articoli, che interviene su questioni delicate come la tutela delle forze dell’ordine, la gestione delle manifestazioni, l’occupazione abusiva, la cannabis light, fino alla revoca della cittadinanza.
Ma di fronte a una stretta così marcata, la domanda s’impone: si tratta di un giusto rafforzamento delle garanzie per la sicurezza collettiva, oppure stiamo assistendo a un progressivo scivolamento verso un modello securitario che rischia di comprimere diritti e libertà costituzionali?
Tutela delle forze dell’ordine: strumenti o immunità?
Il decreto dedica i primi articoli al potenziamento delle tutele per gli operatori della sicurezza. Le bodycam diventano dotazione standard per le pattuglie di polizia, un passo atteso da anni per garantire trasparenza e ridurre i contenziosi.
Ben più controverso è l’articolo che prevede il rimborso delle spese legali fino a 10.000 euro per ogni fase del processo penale per agenti e militari indagati o imputati per fatti di servizio.
Se da un lato si vuole evitare che chi agisce per lo Stato resti solo di fronte alla giustizia, dall’altro si teme una deriva impunitaria: quale cittadino ha oggi accesso a un sostegno legale simile da parte dello Stato?
Manifestazioni pubbliche: il dissenso sotto accusa
Una delle modifiche più discusse è la trasformazione del blocco stradale in reato penale. L’articolo relativo prevede fino a sei anni di reclusione per chi blocca strade in forma organizzata, aggravando la sanzione se il fatto avviene durante una manifestazione.
Parallelamente, viene introdotto il reato di rivolta nei centri di detenzione per migranti (CPR) e nelle carceri, punendo anche la resistenza passiva.
La critica è immediata: queste norme rischiano di criminalizzare il dissenso e di limitare fortemente il diritto di manifestazione sancito dall’art. 17 della Costituzione. Protestare, anche in modo non violento, può diventare reato.
Occupazioni abusive: chi protegge chi?
L’articolo sull’occupazione abusiva di immobili porta la pena massima fino a sette anni, con aggravanti in caso di occupazione di edifici pubblici o commessa a danno di soggetti vulnerabili.
Sebbene il contrasto all’illegalità sia un dovere, resta aperto un interrogativo: chi vive in condizioni di disagio estremo, senza alternative abitative, diventa automaticamente un criminale? Il rischio è di confondere la giustizia con la vendetta sociale.
Truffe agli anziani: una difesa dovuta
Un punto positivo è l’introduzione di una specifica aggravante per le truffe agli anziani, un fenomeno in crescita e spesso devastante per le vittime.
Le pene aumentano (fino a 6 anni) e sono previste multe fino a 3.000 euro. In questo caso, la norma incontra un consenso trasversale, trattandosi di una tutela mirata e proporzionata.
Un altro fronte riguarda la vendita di SIM: i rivenditori dovranno identificare i clienti, acquisendo anche copia del permesso di soggiorno per i cittadini extracomunitari.
La ratio dichiarata è prevenire l’uso illecito di SIM in attività criminali, ma si paventa una discriminazione indiretta e una deriva di controllo sistematico sulla popolazione migrante. Inoltre, la chiusura dell’esercizio commerciale per violazioni appare una sanzione sproporzionata.
Cannabis light: ritorno al proibizionismo?
Uno dei passaggi più discussi è il divieto assoluto di importazione, lavorazione, detenzione e commercio di infiorescenze di canapa, anche a basso contenuto di THC.
La norma, equiparando la cannabis light alle sostanze stupefacenti, smentisce le interpretazioni giurisprudenziali più recenti e chiude un intero settore commerciale in crescita, creando allarme tra produttori e consumatori.
È davvero un problema di sicurezza o un ritorno ideologico al proibizionismo?
Infine, il decreto amplia da 3 a 10 anni il periodo entro cui lo Stato può revocare la cittadinanza italiana acquisita da stranieri naturalizzati, se condannati per determinati reati.
Un principio pericoloso: la cittadinanza, più che un premio da revocare, dovrebbe essere una relazione giuridica stabile, non condizionata all’“utilità” del soggetto.
Sicurezza o compressione dei diritti?
Alla fine della lettura dei 34 articoli del decreto, resta una domanda in sospeso: questo pacchetto normativo, pur contenendo misure anche condivisibili, segna forse uno squilibrio troppo marcato tra sicurezza e libertà.
Come ammoniva Norberto Bobbio, “i diritti vanno difesi soprattutto nei momenti in cui sembrano ostacolare l’efficienza o l’ordine”.
Il rischio, altrimenti, è che la sicurezza diventi una scusa per ridurre il campo della democrazia, con norme pensate più per reprimere che per prevenire.
In un Paese democratico, la sicurezza non può essere garantita comprimendo i diritti, ma solo attraverso una giustizia giusta, una polizia formata e rispettosa, e una politica capace di affrontare le cause profonde del disagio sociale.
Il decreto del 4 aprile 2025 andrà probabilmente incontro a modifiche, forse a ricorsi, forse a nuove letture parlamentari. Ma una cosa è certa: è un test decisivo per la maturità costituzionale dell’Italia.
Difendere la libertà non è un lusso da tempi tranquilli, ma una necessità nei tempi difficili.
L'articolo Più manette, meno libertà? proviene da Paese Italia Press.