Pietro Orlandi: “Emanuela fu attirata a Sant’Appollinare, poi narcotizzata e portata via dall’uscita sul retro”

  • Postato il 17 aprile 2025
  • Crime
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Emanuela Orlandi fu “presa solo per la sua ingenuità”: lo pensava zio Mario, che fece le veci di papà Ercole, troppo provato in quei giorni per parlare coi rapitori. Lo stesso zio poi ingiustamente (come appurato dalle indagini) accusato di averla rapita. Che Emanuela fosse una ragazza incapace di vedere il male lo pensano ancora il fratello e tutte le persone che la conoscevano. Del resto, per una ragazzina di 15 anni nata e cresciuta tra i giardini vaticani, la chiesa e la scuola, il male non esisteva e mai avrebbe potuto capire che quella in cui stava per cadere era una trappola, un incubo senza fine. La scorsa notte, il giornalista Antonino Monteleone ha ripercorso le ultime tracce di Emanuela Orlandi nel corso del programma “Linea di confine” insieme al fratello della cittadina vaticana, Pietro Orlandi.

Il Vaticano
“Sono ancora arrabbiato verso quella che considero ancora parte della mia famiglia, il Vaticano”, ha dichiarato ieri il fratello della cittadina vaticana misteriosamente scomparsa il 22 giugno del 1983. “Non riesco a staccarmi da questi posti, qui andavo a scuola e anche i miei figli l’hanno poi frequentata. Per me esisteva un “dentro e un fuori” e quando varcavamo i cancelli del Vaticano ci sentivamo al sicuro, protetti”. Ma da dove viene allora questa rabbia di Pietro Orlandi? “In realtà – ha ricordato ieri — la prima telefonata ufficiale dei rapitori al Vaticano ci fu il 22 giugno del 1983, tra le 8 e le 9, quando noi ancora non sapevamo che Emanuela fosse stata rapita. Cercavano il segretario di Stato e non ce l’hanno mai detto, lo abbiamo saputo da poco, perché? Quando il Papa fece appello il 3 luglio del 1983, tirammo un sospiro di sollievo. Avevamo totale fiducia verso il Papa e il Vaticano. Sono convinto Giovanni Paolo II sapesse esattamente cosa era successo a Emanuela ma scelse di salvare l’immagine dell’istituzione che rappresentava”. Due giorni dopo l’appello, ci fu la telefonata ufficiale dei rapitori in cui si chiedeva lo scambio con Alì Agca, l’attentatore del Papa. Da ultime notizie ufficiali, un dispaccio dell’Ansa dell’epoca, sembra che anche questo fu un depistaggio per coprire una transazione di soldi (fonte: ANSA).

Il rapimento
Anche se resta soltanto un’ipotesi, Pietro Orlandi che da 42 anni per ogni giorno ha cercato la verità su Emanuela, un’idea su come la ragazzina possa essere stata presa ce l’ha. Emanuela Orlandi, lo ricordiamo, frequentava la scuola di musica “Tommaso Ludovico da Victoria” e proprio da lì scomparve quel giorno. L’istituto era praticamente attaccato alla Basilica di Sant’Apollinare ed era una scuola fortemente legata al Vaticano. Era retta all’epoca da don Pietro Vergari, poi indagato per concorso in sequestro della ragazza dal magistrato Giancarlo Capaldo. Prima di entrare, come ormai è noto e certo grazie all’incrocio di fonti ufficiali, fu fermata da un uomo distinto in Bmw che le propose un lavoro: distribuire volantini a una sfilata per una grossa cifra. Lei chiamò a casa dal telefono della scuola per chiedere ai genitori se accettare o meno ma rispose la sorella Federica a cui disse che quest’uomo l’avrebbe aspettata all’uscita per darle del materiale. Lei uscì da scuola insieme alle amiche, qualcuna la vide alla fermata del bus in corso Rinascimento. “Emanuela quel pomeriggio scende – racconta Pietro a Linea di confine –, non vede quella persona, la aspetta qualche minuto e prima di andare da sua sorella Cristina con cui aveva appuntamento al Palazzaccio va alla fermata del bus davanti al Senato. Lei non doveva prendere il bus ma torna lì dove lo aveva incontrato, sperando di ritrovarlo. Ho sempre pensato che poi ha incrociato quella persona che le avrà detto di aver lasciato i volantini nella basilica. Emanuela ci sarebbe entrata di certo in quella Basilica, senza timore. Se la mia ipotesi è giusta, è stata fatta rientrare a Sant’Apollinare dove non è difficile narcotizzarla e farla uscire sul retro, caricarla in auto e portarla via da qui. Da qui si deve ripartire, dopo qualsiasi cosa potrebbe essere successa. Nella stessa Basilica fu sepolto il boss testaccino Enrico “renatino” De Pedis”, ha ricordato Pietro. Il “dandy” del romanzo criminale di Roma fu sepolto qui grazie a un permesso speciale concesso dal Vaticano, nella persona del vicario Ugo Poletti a don Pietro Vergari, personaggio chiave della vicenda, come dimostra la corrispondenza ufficiale tra i due. “De Pedis era amico di don Vergari”, ha ricordato il fratello della ragazza scomparsa. E anche se nega di averla mai vista è stato “L’unico porporato a ricevere un avviso di garanzia con un’ipotesi di reato molto grave, concorso in sequestro”, ha sottolineato il conduttore Antonino Monteleone. Che Emanuela Orlandi potesse essere scomparsa dalla Basilica nel centro di Roma era l’ultima tesi del procuratore Giancarlo Capaldo recentemente ha detto: “Sul prelevamento di Emanuela Orlandi, un’ipotesi che si potrebbe non escludere è che sia sparita proprio nel complesso di Sant’Apollinare, una ipotesi quasi mai formulata e che invece andava un po’ di più approfondita proprio per la presenza di De Pedis e don Pietro Vergari” (fonte: Il Messaggero).

Il ruolo della Magliana
Sul coinvolgimento della Magliana nel mistero della Vatican Girl molto si è detto, in questi 40 anni. Tutto partì dalla nota telefonata a “Chi l’ha visto” del 2005 in cui un anonimo interlocutore dall’accento romano disse testualmente: “Se volete risolvere il mistero andate a vedere chi è sepolto a Sant’Apollinare per un favore che “Renatino” fece al cardinale Poletti”. Anche l’ex boss Antonio Mancini ha sempre detto che la Magliana era coinvolta. L’ex poliziotto della scientifica Armando Palmegiani che era lì quando il corpo di de Pedis fu traslato, ha detto ieri: “La cronaca ci insegna di cercare bene nel posto in cui si scompare”. “Don Vergari e Poletti organizzarono la sepoltura”, ha confermato la giornalista Raffaella Notariale che all’epoca indagò sul caso e riuscì a intervistare la super testimone Sabrina Minardi. La Minardi parò all’epoca di un covo a Monteverde, in via Pignatelli, in cui fu tenuta la ragazza. Sempre Palmegiani che andò lì per un sopralluogo ricorda: “C’era una scala che portava al piano inferiore dove c’era altro ambiente insonorizzato con finestre in vetro-cemento: era una prigione”. Anche il magistrato Giancarlo Capaldo che diresse la seconda inchiesta ha sempre sostenuto che “De Pedis organizzò il sequestro da solo” e ieri ha ribadito: “La dichiarazione della Minardi che raccontò di aver preso la ragazza in consegna al Gianicolo da Sergiò Virtù (altro membro della Magliana, ndr) per consegnarla al Vaticano ha trovato dei riscontri. Anche Marco Sarnataro (altro criminale romano oggi deceduto) confermò questa versione al padre in carcere. Secondo me il racconto della Minardi è sostenibile anche se non del tutto ma poi l’inchiesta avocata a sé e archiviata da Giuseppe Pignatone troppo prematuramente, c’era necessità di approfondire”. Oltre a Mancini, anche il “freddo” del romanzo criminale Maurizio Abbatino confermò questo coinvolgimento dicendo, come ha ricordato ieri il giornalista Emiliano Fittipaldi: “Quando ero in galera seppi che de Pedis aveva rapito la Orlandi per recuperare fondi di Pippo Calò piazzati allo Ior e investiti da Paul Marcinkus in Solidarnosc”, in riferimento al movimento polacco sostenuto da Woytjla che ha contribuito alla caduta del comunismo nel blocco sovietico.

Il volo dei servizi
Se la Magliana ha gestito, in base a quanto emerso, le prime fasi del sequestro di Emanuela Orlandi, cosa può esserle successo dopo? L’ex maresciallo dell’aeronautica Giuseppe Dioguardi ha confermato ieri, in studio Rai, quanto già dichiarato nei mesi scorsi. Dioguardi in quegli anni ha lavorato nella segreteria particolare del Ministro della difesa Giovanni Spadolini. “Verso la fine di agosto del 1983, al rientro dalle ferie c’erano delle cartelle da far firmare a Spadolini”, ha raccontato ieri. “Ad un certo punto arriva un prelato al Ministero e reitera la richiesta di un volo fatta già il 4 agosto, dice di insistere per questo volo da Ciampino per Londra con a bordo quattro persone: due uomini e due donne con il minimo del personale di equipaggio a bordo. Sarebbero entrare dal varco vip, non presidiato e di notte. Spadolini fa sua questa richiesta di Piovanelli (era lui quindi l’alto prelato, ndr) e ci dice di fare la pratica insieme al cardinale. Il volo fu richiesto ufficialmente al capo del Sismi (i servizi segreti militari) Lugaresi ed è sicuramente avvenuto. Non so se ci fosse Emanuela Orlandi o meno a bordo”. Poi però Dioguardi aggiunge un particolare: “Per chi conosce palazzo Baracchini (sede del Ministero della Difesa, ndr), noi tutti mangiavamo insieme sia al ristorante e si stava insieme nella Bouvette. Nel chiacchiericcio generale di quei giorni, due colleghi dei Servizi ci chiesero di questa pratica, noi dicemmo loro tutto. Poi ci risposero: ‘Non bastano le indagini che stiamo facendo, neanche fosse scomparsa la regina Elisabetta. Adesso pure i voli ci chiedono’. La mattina dopo un alto politico della Dc chiama il capo della segreteria di Spadolini che avevo di fronte a me e sollecita l’effettuazione di questo volo da fare il prima possibile”.

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Il Fatto Quotidiano

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