Percorsi Seriali, Squid Game: epilogo sanguinoso e poetico tra luce e ombra

  • Postato il 5 luglio 2025
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Percorsi Seriali, Squid Game: epilogo sanguinoso e poetico tra luce e ombra

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Percorsi seriali, i giochi di Squid Game 3 su Netflix sono giunti alla loro fine consegnando al pubblico un epilogo sanguinoso e poetico tra luce e ombra


TANTO attesa ed è finalmente arrivata. La terza e ultima stagione di Squid Game (disponibile su Netflix dal 27 giugno 2025) chiude la trilogia di Hwang Dong-hyuk con un mix di devastante potenza emotiva e qualche inevitabile – ma alcune si potevano anche evitare – caduta narrativa. Riprendendo esattamente dal cliffhanger della stagione precedente – la rivolta dei giocatori soffocata nel sangue dal Front Man – la serie conclude l’odissea di Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) in sei episodi che alternano picchi di tensione a momenti di ripetizione un po’ troppo stancante. Avviso che stavolta per parlare una disamina al meglio di questa stagione ci potranno essere degli elementi di spoiler. Quindi chi non vuole legga la recensione solo dopo aver visto l’epilogo.

PERCORSI SERIALI, IL CONFLITTO CENTRALE DI SQUID GAME

Gi-hun, reduce dal fallimento della ribellione, è un “guscio spezzato“, lontano dall’eroe determinato delle stagioni precedenti. L’interprete, Lee Jung-jae, offre una performance straziante, ritraendo un uomo consumato dal senso di colpa, che ritrova uno scopo solo con l’arrivo di un neonato: la figlia della giocatrice Kim Jun-hee (Jo Yu-ri), usata come pedina dai VIP per aumentare la crudeltà dei giochi. Questa scelta narrativa – un neonato inserito tra i concorrenti – è tanto scioccante quanto controversa: da un lato simboleggia l’innocenza sacrificata al capitalismo, dall’altro rischia di cadere nell’inverosimiglianza. Va detto, però, che il suo significato simbolico è fortissimo.

Il conflitto centrale resta quello tra Gi-hun e il Front Man (Lee Byung-hun, anche lui in ottima forma), che incarna il cinismo di un sistema senza pietà. La loro battaglia filosofica culmina nella domanda: “Hai ancora fiducia nell’umanità?”, che poi è la domanda che percorre tutto l’arco narrativo di Squid Game. La risposta arriva nel finale, dove Gi-hun compie un sacrificio estremo “Sky Squid Game” per garantirle la vittoria. Le sue ultime parole – «Non siamo cavalli, siamo esseri umani» – sintetizzano il cuore tematico della serie: l’umanità come antidoto alla disumanizzazione.

I giochi mortali mantengono la firma visiva iconica – e stavolta questo aggettivo sin troppo abusato ci sta tutto – della serie, ma con qualche variazione: “Nascondino” (Episodio 2): Giocatori armati di pugnali in una caccia all’uomo claustrofobica, che costringe a scelte morali strazianti; “Salto della corda” (Episodio 4), il picco della stagione, un equilibrio perfetto tra tensione fisica e dramma emotivo; “Sky Squid Game“, cioè il duello finale, coreografato con maestria cinematografica, sebbene il suo impatto sia smorzato da una caratterizzazione frettolosa dell’avversario di Gi-hun. Tuttavia la struttura mostra delle crepe, che forse potevano essere saldate se il “cemento narrativo” fosse stato usato in maniera più adeguata.

LE TRE SOTTOTRAME PARALLELE

Prima di tutto le tre sottotrame parallele (giocatori, guardia No-eul in missione di salvataggio, e il detective Jun-ho alla ricerca dell’isola) spesso divergono, rallentando il ritmo e diventando ridondanti. Poi ci sono VIP (i ricchi finanziatori) che sono soltanto delle caricature grottesche, con dialoghi imbarazzanti e recitazione eccessiva che rompono il tono della serie. Questo per me è davvero il vulnus più grande della stagione.

C’è poi la sensazione che le stagioni 2 e 3 siano un’unica storia divisa un po’ troppo artificialmente, cosa che spiegherebbe alcune lungaggini, soprattutto negli episodi centrali. Però tutto, nonostante qualche esitazione, riesce ad arrivare sempre come un pugno nello stomaco. Hwang non smorza la sua critica al capitalismo: i VIP che scommettono su esseri umani, la disperazione dei giocatori ridotti a pedine, e il neonato-merce sono metafore dirette di uno sfruttamento senza limiti. Certo, il messaggio perde parte della sua freschezza originale, diventando più didascalico, ad esempio la caricatura del “guru” che sfrutta la disperazione altrui. Hwang mostra poi una sorta di ambivalenza verso l’umanità in alcuni contrasti.

Da una parte ci sono atteggiamenti disumani con genitori che tradiscono i figli per denaro, tradimenti tra alleati, dall’altro atti di eroismo altruistico con il sacrificio di Gi-hun, la protezione del neonato da parte di altri giocatori. Però è qualcosa che ci sta nel mostrare il massimo dello spettro dell’umanità La fotografia resta superlativa: i colori primari dei giochi contro il grigio delle zone operative creano un contrasto inquietante. La colonna sonora amplifica la tensione, mentre le scenografie trasformano giochi infantili in incubi claustrofobici.

PERCORSI SERIALI, L’EPILOGO APERTO E AMARO DI SQUID GAME

L’epilogo è aperto e amaro. Il neonato sopravvive, certo, ma il sistema dei giochi non viene distrutto. Il Front Man compare a Los Angeles, osservando un reclutatore (Cate Blanchett in cameo) che attira un senzatetto in una nuova versione occidentale dei giochi. Questa scena alimenta speranze (o timori) per spin-off, ma funziona come monito: il male è un ciclo infinito, e la speranza risiede solo in chi, come Gi-hun, sceglie l’umanità contro ogni logica. Squid Game 3 non raggiunge la perfezione della prima stagione: la ripetitività di alcuni schemi, i VIP mal gestiti e il ritmo altalenante gli costano il volo più alto. Tuttavia, chiude la saga con coerenza tematica e coraggio, rifiutando il lieto fine consolatorio.

Lee Jung-jae e Lee Byung-hun danno vita a un duello tragico e memorabile, e i momenti migliori (il salto della corda, il sacrificio finale) restano esempi di storytelling potentissimo. Un finale che onora lo spirito della serie: crudo, commovente e sfacciatamente ambizioso, nonostante le cicatrici. Un addio imperfetto ma necessario e assolutamente da ricordare.

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