Perché la Sicilia cresce più del Nord: e potrebbe fare meglio se i politici capissero
- Postato il 18 maggio 2025
- Politica
- Di Blitz
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La Sicilia cresce, molto più del Nord di questo Paese diviso e asimmetrico chiamato Italia.
Cresce perché il peso del manifatturiero da esportazione, oggi in crisi in Germania e nel nordest italico, era ed è relativo. L’automotive è in crisi, ma noi non ne soffriamo, perché ne avevamo già sofferto con la chiusura ormai ventennale della Fiat a Termini Imerese.
Il pil della Sicilia

Piuttosto bisognerebbe approfondire il piano industriale di coloro che hanno preso le redini di Blutech, perché se hanno solo intendimenti logistici, come da natura del principale azionista che si è scoperto oggi non straniero, ma catanese doc, è meglio saperlo subito e capire che farci. Il PIL siciliano 2024 ci dice lo Svimez cresce del 2,5%, contro una crescita nazionale dello 0,7. Turismo ed agroalimentare trainano la crescita, ma anche nell’industria e nell’edilizia post 110 ci sono segni positivi.
Le energie rinnovabili
Il comparto delle energie rinnovabili cresce, anche se la Regione ha normato in maniera ostativa l’agrivoltaico. Lì era possibile fare una norma invece di semplificazione, per agevolare un reddito suppletivo e non sostitutivo, sulle aziende agricole piccole e medie fino a 70/80 ettari, questo anche in considerazione dei profondi e mutevoli cambiamenti climatici. Meglio far mettere qualche pannello fotovoltaico in regime agevolativo che dare scarni contributi a causa dei danni della peronospera, del troppo caldo o della carenza idrica.
Per assurdo, o forse no, l’antichità dell’isola, rispetto ai flussi velocissimi della globalizzazione, ha una forte capacità di resilienza, perché ha beni materiali, i beni culturali in primis, e immateriali unici.
Il turismo dei beni culturali, a causa dell’eccessivo sguardo pubblico tendente alla conservazione più che alla valorizzazione, se fosse gestito con maggior apporto privatistico, magari sociale, potrebbe fare numeri decisamente superiori, anche se attualmente cresce a ritmi sostenuti. Deve aumentare la capacità di aggregazione imprenditoriale, perché il nanismo è causa di scarsa forza contrattuale e deficienza di capitale umano qualificato.
Anche in aggregazioni più cooperative, e quindi meno individualiste, c’è bisogno di ulteriore spinta aggregativa per sostenere il rapporto qualità/quantità/prezzo sui mercati di distribuzione, soprattutto in ambito agroalimentare.
Il turismo, seppur supportato da dati confortanti, sconta due gap. Il primo è il trasporto interno, ancora pochi treni e a bassa velocità, se poi si pensa che tra le due principali città il treno è stato sospeso, causa lavori di raddoppio linea, ci si sconforta, a meno che non si voglia collegare Palermo e Catania con l’aereo.
Il secondo è ancora la carenza di importanti brand, capaci di adeguate narrazioni e crescita di servizi nelle clientele fidelizzate internazionali.
Infine il digitale, vera transizione. Palermo si è classificata al 27esimo posto delle città del nomadismo digitale, ma si potrebbe fare decisamente di più, e a Catania a fine maggio ci sarà il primo Hackaton per i possessori di competenze digitali. Il digitale a Catania potrebbe essere, anche a causa dell’insediamento della ST Microelectronic, la Silicon Valley italiana se le istituzioni locali e regionali puntassero fortemente per un Hub formativo e incubatore di start up.
Nel riconsiderare il quadro della crescita bisogna sottolineare, ovviamente, che crescere di più del Nord non intacca i valori di PIL assoluto, ancora tanto distanti, ma sono un dato che dovrebbe dare indicazioni alla politica nazionale per investimenti oggi produttivi, e non di solo sterile assistenzialismo. Adesso investire in Sicilia è possibile, se ci si crede, e si rifugge il solito capitalismo relazionale, spesso inutile.
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