Perché la moda ha invaso le fiere d’arte e i grandi musei internazionali?

  • Postato il 1 agosto 2025
  • Moda
  • Di Artribune
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Touchpoint è il vocabolo che il marketing utilizza per indica il punto di contatto tra un’azienda e il suo reale o potenziale cliente. Per Apple o Samsung, che investono nel product placement all’interno di film, serie tv o videoclip musicali, significa utilizzare tecniche di touchpoint; le aziende di food & beverage lo fanno collaborando con chef di grido o gratificano il cliente fedele con lezioni di cucina personalizzate; per una compagnia aerea significa stampigliare sulla maglia di uno sportivo o a bordo campo il proprio logo. Qualche esempio? Emirates lo fa con il Real Madrid o il Milan, Qatar Airwais con FC Barcellona e Bayern Monaco.

Touchpoint nel mondo della moda

Anche i brand moda di recente si sono avvicinati allo sport: Louis Vuitton alla Formula 1, Gucci al tennis di Sinner; di Parada è celebre la barca che partecipa all’America’s Cup – anche se sono i rapporti con le arti figurative e le loro più importanti istituzioni da sempre al centro della loro attenzione. È qui che i brand provano a utilizzare l'”aura” per ottenerne il prestigio culturale che consente di posizionare i loro prodotti come opere nate dalla creatività dei loro designer piuttosto che come meri beni di consumo. Questa dinamica di recente ha prodotto però un vortice di ritorno tanto nelle fiere d’arte che nei musei non specificamente dedicati al tessile. Le une e gli altri beneficiano sul piano commerciale della presenza dei brand del lusso tanto per i cospicui investimenti provenienti da questi ultimi che per l’apertura verso nuove categorie di individui fuori dal cerchio chiuso dei connoisseur.

Moda e fiere d’arte contemporanea

Art Basel lo scorso giugno ha difatti inaugurato l’Art Basel Shop: situato nel cuore dello spazio progettato da Herzog & De Meuron, Art Basel Shop può essere descritto come un concept store effimero progettato per la diffusione di simulacri eclettici e prodotti lifestyle. A supervisionare l’edizione inaugurale è stata chiamata Sarah Andelman, fondatrice di Colette, il celebre negozio multimarca parigino che ha chiuso i battenti dopo venti anni di attività nel 2017.  Per l’occasione, oltre a una selezione di prodotti esistenti, è stata presentata le capsule AB by Art Basel: piuttosto scarna, a dire il vero, ma comunque composta da accessori, abbigliamento e “gadget” con il logo della fiera stampigliato ovunque. Lo shop prevedeva anche The Artist Collection, articoli per la casa e abbigliamento creati in collaborazione con l’artista americana Christine Sun Kim; stampe nuove e in edizione limitata, tra cui 75 delle 1.250 copie del progetto Pulp Fiction dell’artista britannico David Shrigley; oltre a penne Caran d’Ache x Keith Haring in edizione limitata.

Art Basel tote bag @Art Basel Shop
Art Basel tote bag @Art Basel Shop

Il concept store di Art Basel, tra la Svizzera e Miami

Il fatto che Art Basel, uno dei più grandi forum commerciali del settore dell’arte, si espanda nel commercio al dettaglio non è poi così sorprendente. Lo scorso dicembre la Miami Art week di cui Art Basel Miami Beach è una colonna portante è stata individuata come touchpoint ideale per clienti provenienti dal vicino Sud America. Pucci, Cartier, Rabanne, Bvlgari, Maison Margiela, Gucci, Golden Goose, Balmain, Fendi e Bottega Veneta, tra gli altri, hanno messo in scena eventi e mostre con un’accelerazione notevole rispetto all’anno precedente. Ancora più in là lo scorso settembre l’edizione parigina di aveva fornito il suo prestigio al progetto Tales & teller di Miu Miu suo main sponsor per quell’edizione. Una considerazione va fatta: fiere di questa importanza sono a loro volta brand e nemmeno più da considerare di nicchia: non ci sono problemi a camminare in una via cittadina con una borsa dove spicca un logo come quello di Art Basel: al contrario esibire un accessorio del genere risulta per tutti un piacevole distintivo.

I gift shop dei musei d’arte

Brand potenti possono del resto essere considerati anche i grandi musei. Nessuno rinuncia al suo gift shop, che costituisce una fonte di entrate non trascurabile. Siamo ormai immunizzati dal naso che si arriccia (lo abbiamo avuto tutti prima o poi), davanti allo shock provocato dallo slittamento visivo tra una grande opera ammirata poco prima in un salone del museo e la sua riproduzione su un mug ceramicato nella vetrinetta posta all’uscita. Ma c’è ben altro in movimento. Ogni settimana sembra annunciare l’apertura di una nuova mostra di moda in un museo da qualche parte nel mondo: l’attenzione verso questo segmento creativo non è mai stata così alta. Virgil Abloh: The Codes arriverà al Grand Palais di Parigi durante la prossima fashion week; Westwood / Kawakubo debutterà alla National Gallery of Victoria di Melbourne a dicembre; Schiaparelli: Fashion Becomes Art al V&A di Londra l’anno prossimo. Al LACMA di Los Angeles nel 2026 è prevista l’inaugurazione di Fashioning Chinese Women: Empire to Modernity , con manichini creati dallo stilista Jason Wu, mentre nel 2027 la seconda parte di Fashioning Fashion coprirà il periodo dal 1900 al 2025, presentando lavori di fashion designer come Gilbert Adrian, Rudi Gernreich, Libertine, Freak City, Dosa e Jamie Okuma. Mentre il V&A South Kensington sta esaurendo il tempo per l’esposizione Marie Antoinette Style e a settembre tornerà con un focus dedicato all’impatto culturale della regina francese, tra moda d’epoca e revival contemporanei.

Moda e musei contemporanei

Che la moda sia diventato un grande business per i musei è certo. Se un punto di inizio di questo fenomeno va fissato questo non può essere che la retrospettiva dedicata a Giorgio Armani curata da Germano Celant e Harold Coda nel 2000 al Guggenheim Museum di New York. Da allora, altri marchi del lusso hanno finanziato, curato e allestito mostre per promuovere le loro narrazioni, adattandole ai luoghi diversi dove si sono tenute. A Brooklyn come a Tokyo lo hanno fatto trasferendo milioni di dollari ai musei che li ospitavano sfumando il confine tra arte e commercio. I marchi del lusso hanno anche aperto i propri musei, sia dedicati alla moda (Fondation Pierre Berge Yves Saint Laurent, Musée Christian Dior, Gucci Garden, Museo Ferragamo, Fondazione Valentino Garavani) che all’arte (Fondation Louis Vuitton, Bourse de Commerce Pinault Collection, Fondazione Prada, Fondation Cartier pour l’Art contemporaine), oltre a sostenere finanziariamente mostre ovunque sia stato possibile: da Venezia a Shanghai. Spicca fra tutti il successo del Costume Institute del Metropolitan di New York, dove è attualmente visitabile la mostra Superfine: Tailoring Black Style, sponsorizzata da Louis Vuitton, e dove il celeberrimo Met Gala ha raccolto la cifra record di 31 milioni di dollari per il dipartimento di costumi e tessuti. Ma altrettanto significativa è la trasformazione in corso della Fashion Gallery del V&A South Kensington che alla riapertura (prevista per la primavera 2027) prenderà con il nome di The Burberry Gallery. Rispetto a quanto accaduto nel recente passato i responsabili di queste istituzioni sottolineano come la novità consista nel fatto che il LACMA, come il Costume Institute o il V&A intendano curare mostre moda avvalendosi di studi che nascono dall’expertise dei propri dipartimenti: un approccio curatoriale che si propone differente rispetto a esposizioni trasportate ed allestite direttamente dagli staff dei brand di riferimento.

I target delle mostre tra arte e moda

Molto è in movimento: il pubblico della moda come quello dei musei o delle fiere d’arte si sta trasformando non fosse altro per motivi biologici. La NextGen (in particolare i Millennial che ora hanno tra i 30 e i 40 anni) è divenuta per tutti il target più importante e mostra di avere ha gusti diversi rispetto a chi li ha preceduti. Tra le altre cose diffida delle istituzioni: Chiesa, politici e accademici, hanno perso molta della loro influenza e questo impatta anche sulle istituzioni culturali. La NextGen si rivolge al web e sempre più all’ AI come principale fonte di informazione: lo fa tanto per scegliere l’ultimo modello di art toys di Kaws che quello di una sneaker ON. Anche in questo caso arricciare il naso non serve: per la NextGen, esperienze e “divertimento” sono altrettanto importanti (diciamo pure più importanti) dello status che l’acquisizione di un’opera del grande maestro di turno conferiva ai genitori Boomers.

Aldo Premoli

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L’articolo "Perché la moda ha invaso le fiere d’arte e i grandi musei internazionali?" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

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