Perché il Ruanda ha deciso di ospitare nel suo campionato calcistico tre club del Sudan

  • Postato il 29 ottobre 2025
  • Di Il Foglio
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Perché il Ruanda ha deciso di ospitare nel suo campionato calcistico tre club del Sudan

All’alba di una stagione irriconoscibile, la federcalcio del Ruanda ha aperto le porte a tre club sudanesi – Al Hilal Omdurman, Al-Merrikh e Al Ahli Wad Madani – ammettendoli alla Rwanda Premier League 2025-26. È una decisione straordinaria, figlia di una guerra civile che dal 2023 ha svuotato stadi, spezzato carriere e trasformato i campi in luoghi di sepoltura. L’ingresso resta subordinato al via libera della Caf (Confédération Africaine de Football), ma Kigali ha già dato il suo sì politico e sportivo e si prepara a ricalibrare il calendario dopo quattro giornate già disputate.

Non è la prima fuga: la scorsa stagione Al Hilal e Al-Merrikh hanno giocato in Mauritania, mantenendo viva la struttura dei club e la competitività della rosa, pur senza titolo ufficiale. L’esilio ha garantito minuti, stipendi e continuità tecnica; il ritorno temporaneo in patria, nell’estate 2025, è servito solo per un mini torneo federale che assegnasse i posti per le coppe. Ora il passo successivo porta 2.500 chilometri più a sud, in Ruanda.

Al Hilal e Al-Merrikh non sono due nomi qualunque: insieme hanno vinto 50 degli ultimi 54 campionati sudanesi e incarnano il derby per antonomasia dell’Africa nordorientale. Al Hilal ha una dimensione continentale consolidata, una struttura presidenziale forte e un management capace di tenere in piedi la macchina anche in esilio. Il presidente Hesham Hassan Al-Subat, imprenditore dell’energia e della logistica, è il perno finanziario dell’ultimo ciclo. Dall’altra parte, Al-Merrikh – “Al-Zaeem”, il Capo – ha storia e seguito, ed è guidato da Mujahed Sahl. Al Ahli Wad Madani, due volte vicecampione nazionale e una Coppa del Sudan in bacheca, è la terza gamba del triangolo in esilio.

Kigali offre stadi a norma Caf, sicurezza, collegamenti aerei e un contesto amministrativo capace di ‘ospitare’ tre club stranieri senza far collassare il torneo. Siamo nella stessa zona Cecafa, dove circolano da anni squadre, arbitri e competizioni comuni: muoversi dentro questa regione attenua burocrazia e costi.

Il Ruanda, inoltre, usa lo sport come vetrina e leva diplomatica da oltre un decennio: dagli accordi “Visit Rwanda” con Arsenal e Psg fino al più recente – ridimensionato – rapporto con il Bayern Monaco. Accogliere club ‘apolidi’ in cerca di casa consolida il brand di paese “hub” sportivo dell’Africa, malgrado le polemiche esterne – in particolare dalla Repubblica democratica del Congo – sullo sportwashing.

La Premier League ruandese, dominata negli ultimi anni dall’Apr, guadagna visibilità, diritti, pubblico e – non secondario – test competitivi per alzare l’asticella a ridosso delle coppe continentali. Per i tre club sudanesi è ossigeno: partite regolari, contratti che restano vivi, percorso Caf non interrotto.

Al-Subat per Al Hilal porta in dote un conglomerato nell’oil&logistics capace di reggere la delocalizzazione: viaggi, salari, servizi medici e psicologici. Al-Merrikh, con Mujahed Sahl alla guida, ha scelto la via dell’“attraversare la tempesta”, evitando vendite di emergenza e puntando sulla continuità tecnica. Al Ahli Wad Madani si muove con risorse più leggere, ma la vetrina ruandese è fondamentale per rimanere nel circuito professionistico e valorizzare un bacino storico (Gezira).

Da Nouakchott ad Atbara e Ad-Damer, fino a Kigali: quattro città e tre modi di giocare in guerra. In Mauritania, l’esilio “lungo” per respirare normalità; in Sudan, la mini lega estiva per assegnare i posti nelle coppe, lontano da Khartoum; in Ruanda, un campionato vero, con pubblico e diritti tv. Per i tifosi sudanesi della diaspora, Kigali è raggiungibile, sicura e relativamente economica, e così l’esilio si fa curva.

Il risultato potrebbe essere un laboratorio unico: una lega dell’Africa orientale che si internazionalizza “per necessità”, tre big che salvano la propria filiera sportiva e un paese che prova a trasformare la solidarietà calcistica in reputazione durevole.

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Il Foglio

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