“Perché chi si affaccia oggi a fare musica deve avere come orizzonte solo i grandi spazi e i grandi numeri? Gli emergenti dovebbero essere tutelati di più”: nasce Doc Music – La Musica Giusta

  • Postato il 2 luglio 2025
  • Musica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Durante la pandemia ci siamo occupati dei lavori fragili del mondo dello spettacolo che si sono ritrovati in grandissime difficoltà a causa di tutele inesistenti. Al loro fianco c’era anche Doc Servizi, da più di trent’anni la cooperativa leader nel settore dello spettacolo e degli eventi, che ha cercato assieme ad altre associazioni di categoria di ottenere più tutele per i lavoratori. Molto è stato fatto, tanto altro è ancora da realizzare.

Intanto all’interno di Doc Servizi, nasce Doc Music, “piattaforma collaborativa a sostegno delle carriere artistiche e dedicata alle figure manageriali indipendenti. Uno spazio per emanciparsi dalla dinamica del successo subito e a tutti i costi”, si legge nel manifesto di presentazione. Abbiamo raggiunto Andrea Ponzoni, Responsabile Area Musica Doc Servizi, che ci ha spiegato in cosa consiste il nuovo progetto.

L’obbiettivo del nuovo progetto – “Doc Music – La Musica Giusta è già una dichiarazione di intenti: “Siamo tutti addetti ai lavori e abbiamo visto negli ultimi anni il mondo della musica diventare sempre più piccolo, concedere a chi vuole fare di questa passione un lavoro sempre meno spazi. Le motivazioni sono tante, servirebbe più tempo per essere esaustivi, ma riguardano il sistema nel complesso: cambiamenti che hanno coinvolto gli spazi in cui si fa musica dal vivo, la discografia, la fruizione della musica da parte del pubblico. Anche la pandemia ha contribuito non poco. Ma noi abbiamo visto anche cosa può fare il modello cooperativo se applicato al nostro settore. È un modello che ha consentito di portare diritti e tutele in un contesto caratterizzato da un assetto normativo complesso e da condizioni lavorative discontinue. Abbiamo deciso di fare rete con altri addetti ai lavori, con artisti, e continueremo a farlo per recuperare un po’ dello spazio che oggi manca. Il punto è ristabilire il principio di una sorta di diritto di cittadinanza di tutta la musica, non solo quella che sul mercato di oggi riesce a reggersi in autonomia sulle sue gambe. Siamo da trent’anni la più grande cooperativa del settore spettacolo con circa 8000 soci, non abbiamo mai smesso di guardare al mondo della musica nel suo insieme. Sappiamo che un’offerta musicale eterogenea è un tassello importantissimo per la salute del mercato. Sappiamo anche che non tutti i progetti esplodono in pochi mesi, che questo è ancora un lavoro molto artigianale, fatto di tempo, impegno, tenacia. Stiamo costruendo uno spazio per un modo diverso di pensare alla carriera. Non perché un sistema debba sostituire l’altro ma perché il fatto che possano esserci delle alternative è vitale per tutti i sistemi in campo”.

L’attuale gestione manageriale e discografica degli artisti – “Se ci si prende un po’ di tempo per parlare con i vari attori in campo, il quadro si presenta per quello che è: complesso e sfaccettato. All’interno di questo quadro tutti hanno delle ragioni da esprimere. Non credo si tratti di avere una posizione nei confronti delle major (che fanno il loro lavoro, fanno le major) ma di avere uno sguardo ampio su un intero ecosistema di cui le major sono solo una parte. La musica vive di una dicotomia, come molti altri prodotti culturali che sono intrattenimento ma sono anche – appunto – cultura. Parliamo di un ecosistema complesso nel quale forme di espressione più popolari e di successo dovrebbero poter convivere con forme di espressione meno mainstream che hanno comunque un senso, un valore, rappresentano identità e ricchezza per il nostro paese. Negli ultimi anni è come se fosse saltato il patto di convivenza fra queste due diverse tipologie di prodotto ed è sicuramente compito di chi in questo mondo lavora, ma anche dello Stato, tutelare la parte meno forte e sostenerla affinché possa avere tempo e risorse per fare il proprio percorso. Il tema della musica emergente, dei generi musicali meno mainstream, dovrebbe essere sul tavolo di chiunque abbia a cuore la musica”.

Un modello alternativo e attento – “Non entriamo nel merito delle scelte e dei modelli adottati da colleghe e colleghi del settore. Riteniamo che ogni percorso, se costruito con coerenza e rispetto per il lavoro artistico, possa contribuire alla vitalità dell’intero ecosistema musicale. Noi abbiamo scelto di lavorare con il modello cooperativo, un approccio che valorizza la condivisione delle risorse, la partecipazione attiva degli artisti e dei professionisti e la costruzione di filiere produttive inclusive. In questo senso, collaboriamo con tutti gli attori del comparto – dalle grandi etichette ai piccoli produttori indipendenti, passando per manager, distributori e istituzioni – con l’obiettivo di generare valore collettivo, sostenibile e orientato alla qualità”.

I giovani artisti che vanno in burnout Manuela Martignano, socia Doc Servizi e Project Manager Doc Music ci ha spiegato la sua: “Su questo si rischia sempre di esprimere opinioni che non si reggono su basi solide perché il burnout è un tema che ha a che fare con la salute mentale e dovrebbe essere trattato in maniera più approfondita da chi di salute mentale si occupa in maniera professionale. Noi possiamo rilevare alcuni cambiamenti nel mondo della musica e provare a ipotizzare che facciano parte del quadro, ma senza la pretesa di aver ragione su un tema così delicato e profondamente soggettivo. Si arriva sempre più spesso da giovanissimi e senza molta esperienza alle spalle in contesti molto grandi all’interno dei quali vengono misurate costantemente le performance: quanti stream? Quanti biglietti venduti? Quanti dischi d’oro? Quanti di platino? Quante date sono sold out? Sono domande che riguardano la carriera di tutti, ma chi se le pone da adulto dopo aver fatto un certo tipo di percorso forse le risposte, se non sono positive, le affronta meglio. In generale ci siamo messi a contare i numeri, anche in quella che un tempo chiamavamo musica indipendente (e che ora non si sa più dove inizia, dove finisce e se esiste ancora) ci siamo messi quasi tutti a contare. Non mi stupisce che generi ansia da prestazione. Con molti colleghi si parla dei numeri degli stream, da poco Spotify ha spostato molto in basso sulla piattaforma il dato degli ascolti mensili che un tempo era lì in bella vista, una delle prime cose che vedevi sul profilo di un artista. Sarà utile continuare in quella direzione. È anche vero che per tornare lì dove siamo stati felici, dove l’unica performance che contava era quella che facevi sul palco da un punto di vista qualitativo, dovrebbe cambiare anche il panorama e perché succeda questo bisogna davvero impegnarsi come dicevo prima a lavorare sul quadro generale, non sulle singole istanze”.

Andrea Ponzoni ci ha spiegato poi in cosa si differenzia la proposta dalle altre e perché tutelerebbe meglio gli artisti: “Innanzitutto è il modello cooperativo a essere diverso da altre forme di impresa, non avendo il profitto e le quote di mercato come goal principale. Noi come cooperativa, pur facendo molta attenzione ai conti, mettiamo al centro altri principi che sono quelli del sostegno mutualistico o dell’operare per favorire il lavoro di tutti. Se si parte da un contesto così profondamente diverso per forza poi le modalità saranno diverse. Nello specifico del caso di Doc Music, il management cooperativo – se così vogliamo chiamarlo per semplificare – porta con sé una serie di aspetti positivi sia per chi fa il manager, sia per gli artisti. I manager possono entrare in cooperativa e condividere l’infrastruttura con altri professionisti, usufruire di un’esperienza consolidata in trent’anni di lavoro nel settore e avere accesso a servizi legali, amministrativi, partecipazione ai bandi e tanto altro. Gli artisti sono protetti perché la cooperativa è una valida alternativa alla partita iva per quanto riguarda le tutele e i diritti che vanno a braccetto con il fatto di avere una busta paga. Poi attraverso il coinvolgimento e la formazione, perché sapere quali sono le dinamiche (legislative, legali, commerciali, finanziarie) sulle quali si basa il proprio lavoro li rende più informati e quindi più consapevoli, soprattutto agli inizi di un percorso, questo bagaglio di conoscenze può incidere positivamente. Quello che stiamo cercando di fare è fornire sostegno a una musica indipendente che possa rimanere tale nel tempo, accogliere scene musicali che non vediamo più emergere con vitalità da anni, favorire il lavoro di collettivi. Possono sembrare obiettivi aleatori ma le ripercussioni, sia sul mondo di chi fa musica sia su quello di chi la musica la ascolta e ne fruisce, possono essere sorprendenti”.

La vendita dei biglietti dei concerti a prezzi stracciati?“Non entriamo nelle logiche commerciali di chi affronta determinate produzioni, bisognerebbe dare parola ai diretti interessati, altrimenti si rischia di sfociare nel gossip che non è una nostra specialità. Se si vanno però ad approfondire non i singoli eventi ma le dinamiche più generali si rischia di scoprire per esempio che una serie di distorsioni sulla sostenibilità dei concerti derivano anche dalla mancanza di spazi all’aperto modulabili su capienze medio-alte. La musica in Italia spesso deve adattarsi a spazi non propriamente suoi e questo ha delle conseguenze. Sicuramente c’è anche un’ossessione sia da grandi spazi che da sold out immotivata e dannosa, anche in riferimento alle riflessioni sul burnout di cui sopra. Abbiamo visto per anni fior di professionisti viaggiare su numeri meno impressionanti, avere comunque delle carriere lunghe, gratificanti, nomi che resteranno a lungo nella memoria di questo paese. Perché chi si affaccia oggi a fare musica deve avere come orizzonte solo i grandi spazi e i grandi numeri? Chi l’ha deciso? Un pensiero infine ai numeri, che spesso non sono indicativi di nulla perché in questo mondo non tutto ciò che conta si può sempre contare”.

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Il Fatto Quotidiano

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