“Per vicini di letto avevo barboni ubriachi che scorreggiavano, oggi cambio le mutande due volte al giorno, non perché me la faccio addosso: basta una goccia, no?”: le confessioni di Diego Dalla Palma
- Postato il 15 dicembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“La mia università è stata la povertà”. Diego Dalla Palma non gira intorno alle parole quando ricostruisce l’inizio della sua vita adulta per poi passare in rassegna tutta la sua vita. Lo fa in un’intervista al Mattino di Padova, in cui riavvolge il nastro dei ricordi a partire da quando arrivò a Milano a 18 anni, senza soldi e senza riferimenti, e finì a dormire nel pensionato Belloni di viale Fulvio Testi. “Per vicini di letto avevo barboni ubriachi che scorreggiavano“. La fame era costante, concreta: “Arrivai a prostituirmi in cambio di un panino”. È da qui che Dalla Palma fa partire il discorso sulla dignità, tema che attraversa tutta la sua riflessione: “Io mi cambio le mutande due volte al giorno, la prego di scriverlo”. Lo dice senza ironia: “Non perché mi pisci addosso. Ma basta una goccia, no? Voglio essere pulito e profumato, mi sforzo di stare dritto. E quando non potrò più farlo?”.
Prima di arrivare a Milano, però, c’è stata un’infanzia difficile a Enego, sull’altopiano dei Sette Comuni: “A scuola mi deridevano: ‘Femminuccia’”. Dopo la meningite linfocitaria avuta a sei anni, molti avevano paura che fosse contagioso: “Quanto male fa l’ignoranza“. Scendeva da Malga Lambara a scuola sul camion del latte. La madre Agnese gli ripeteva: “Te devi ’ndar via! No star qua fra le vache, come mì”. Nel 1968 gli mise in mano 25.000 lire: “Ghemo solo questi, ma no tornar indrìo!”. Il padre Ottavio lo salutò con una frase che non ha mai dimenticato: “Ricòrdate che sémo gente povera, no povera gente”. A Milano arrivò lo spaesamento totale: “Non sapevo dove lavarmi, dove dormire”. Da quella condizione estrema nasce anche la sua formazione umana e professionale. “La mia università è stata la povertà”. Più tardi avrebbe truccato attrici e cantanti, ma allora c’era solo l’urgenza di mangiare.
La violenza torna nella sua vita molti anni dopo, quando ormai è un professionista affermato: “Una persona con cui intrattenevo una relazione mi piombò in casa, mi massacrò di botte e mi tagliò la gola“. Era a Milano. Credendolo morto, l’aggressore rubò orologi e denaro e fuggì. “Non so come, riuscii a scendere in strada. Tutto insanguinato, chiedevo soldi ai passanti. Straparlavo”. Fu un droghiere, Emilio Radrizzani, a dargli 500 euro. L’avvocata Annamaria Bernardini de Pace lo portò a casa sua e lo curò. Seguì un mese di ospedale all’estero per lesioni gravi a un polmone, a un timpano e a un testicolo: “Mi salvarono alcuni medici cubani miei amici”. L’aggressore, originario di Capo Verde, fu poi arrestato: aveva già scontato 14 anni di carcere per una rapina finita con una donna ridotta in sedia a rotelle. Ancora prima, da adolescente, Dalla Palma aveva subìto abusi quasi quotidiani per due anni al collegio Cavanis di Venezia. Tiene a distinguere con precisione: “Non fu un’iniziazione. Solo costrizione, umiliazione“. Racconta padre Ugo, 120 chili, la violenza prima mentale poi fisica, la musica di Haydn come sottofondo: “Dormivo nell’ala degli sfigati, quelli che non potevano pagare la retta”. Anni dopo quell’uomo lo chiamò, ormai morente, chiedendogli una benedizione: “Non conosco il rancore. Ci pensai un minuto e gli dissi che gli volevo bene. Che cosa mi cambiava?”.
Il rapporto con la madre resta uno dei nodi più dolorosi: “Quando nacqui, a Enego solo due donne usavano il rossetto. Una era mia madre”. L’altra, sua amica, venne uccisa dal marito geloso il giorno dell’elezione di papa Giovanni XXIII. “Da quel momento il mal di vita si impossessò di lei”. La madre visse tra depressione e attacchi di panico. “Mi rifiuto di finire come lei”, dice spiegando perché rifiuta farmaci come il Prozac. Sul sesso e sull’identità, Dalla Palma non semplifica. Si definisce pansessuale. Racconta esperienze precoci nei fienili, grandi amori come Anna e Mario, e oggi l’astensione: “Osservo il mio corpo plissé e mi astengo“. Ma è netto nel separare desiderio e abuso: “L’inclinazione c’era già, in percentuali che non capivo. Gli abusi non c’entrano”.
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