Pechino chiude i rubinetti sulle terre rare, ma l’Europa ne ha in abbondanza: ecco dove si dovrà scavare (anche se in ritardo)
- Postato il 15 aprile 2025
- Di Panorama
- 2 Visualizzazioni


La Cina ha deciso di sospendere le esportazioni di materiali critici e in particolare delle terre rare, sostanze fondamentali per alcune industrie tecnologiche e energetiche, di cui Pechino è leader incontrastato. Una mossa che mette in difficoltà l’Occidente e in particolare l’Europa. In realtà le terre rare, che scarse non sono ma sono difficili da identificare e da estrarre, ci sarebbero nel Vecchio Continente. Ma per ragioni ambientali gli europei hanno preferito delegare ad altri la loro estrazione. Ora però devono rimettersi a scavare per ridurre la dipendenza dalla Cina.
Che cosa sono le terre rare
Le terre rare, un gruppo di 17 elementi chimici dai nomi singolari come neodimio, praseodimio, disprosio e terbio, sono diventate il motore silenzioso della transizione verde e digitale. Sono indispensabili per le turbine eoliche che punteggiano i nostri paesaggi, per i motori dei veicoli elettrici che promettono aria più pulita e per l’elettronica avanzata che definisce la nostra era. Le terre rare (Ree) non sono geologicamente scarse nella crosta terrestre; il cerio, ad esempio, è più abbondante del piombo. La vera “rarità” risiede nella difficoltà di trovarle concentrate in giacimenti economicamente sfruttabili e, soprattutto, nella complessità estrema dei processi necessari per separare i 17 elementi, chimicamente molto simili tra loro Sono le loro proprietà magnetiche, ottiche e catalitiche uniche, derivanti dalla particolare configurazione elettronica, a renderle insostituibili.
L’applicazione più critica è quella dei magneti permanenti ad alte prestazioni, in particolare quelli al neodimio-ferro-boro che utilizzano neodimio, praseodimio, disprosio e terbio. Questi magneti, i più potenti conosciuti, sono essenziali per l’efficienza e la miniaturizzazione dei motori dei veicoli elettrici (presenti nel 95% dei modelli) e dei generatori delle moderne turbine eoliche, specialmente quelle offshore. Ma le terre rare sono cruciali anche nell’elettronica di consumo (smartphone, computer), nelle applicazioni militari e aerospaziali (radar, guida missilistica, droni), nei catalizzatori industriali e persino in medicina.
La dipendenza europea
Per questi elementi strategicamente vitali, l’Unione Europea dipende quasi totalmente dall’estero, e in particolare da un unico gigante: la Cina. Questa dipendenza, che vede l’Ue importare dalla Cina circa il 98% dei magneti permanenti di terre rare e la quasi totalità delle terre rare pesanti lavorate, rappresenta una vulnerabilità economica e geopolitica che Bruxelles non può più ignorare. Espone l’Ue a rischi enormi: volatilità dei prezzi, interruzioni della catena di approvvigionamento e, soprattutto, la possibilità che Pechino usi le terre rare come arma geopolitica, come sembra stia accadendo adesso contro gli Usa. Senza un accesso sicuro a questi materiali, gli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo e la competitività industriale del continente sono in pericolo, rischiando di sostituire la dipendenza dal gas russo con una nuova dipendenza strategica dalla Cina.
Nuove speranze
Tuttavia recenti scoperte geologiche nel nord Europa hanno acceso un barlume di speranza, ma la strada verso una reale autonomia è lunga e irta di ostacoli tecnologici, economici, ambientali e sociali. L’annuncio all’inizio del 2023 della scoperta del giacimento di Per Geijer a Kiruna, nel nord della Svezia, da parte della compagnia statale Lkab, ha suscitato un’ondata di ottimismo. Definito inizialmente come il più grande d’Europa, con stime di oltre un milione di tonnellate di ossidi di terre rare, analisi più recenti indicano una risorsa inferita di circa 1,3 milioni di tonnellate. Lkab sta investendo in un progetto per estrarre e lavorare queste risorse, con inizio produzione previsto nel 2027, ma la stessa azienda avverte che ottenere tutti i permessi e avviare l’estrazione potrebbe richiedere 10-15 anni.
Nel giugno del 2024, la compagnia norvegese Rare EarthsNorway ha annunciato stime ancora più impressionanti per il complesso di Fen, nel sud-est della Norvegia, definendolo potenzialmente il più grande giacimento europeo con 8,8 milioni di tonnellate di ossidi di terre rare stimate. Ren mira a iniziare lo sfruttamento nel 2030, con l’obiettivo di coprire il 10% della domanda europea, un traguardo ambizioso.
Altri giacimenti promettenti si trovano in Svezia (Norra Kärr, ricco di HRee), Finlandia (il complesso di Sokli, con potenziale ma anche sfide ambientali significative) e, soprattutto, in Groenlandia. L’isola autonoma danese, finita nel mrino di Trump, ospita depositi di classe mondiale come Kvanefjeld e Kringlerne, con risorse stimate in miliardi di tonnellate e un potenziale teorico enorme. Tuttavia, il progetto Kvanefjeld è attualmente bloccato da una legge locale che vieta l’estrazione di uranio (presente in basse concentrazioni nel giacimento), evidenziando come le questioni politiche e l’accettazione sociale possano fermare anche i progetti geologicamente più validi
Tempi lunghi
Il vero nodo strategico è il divario temporale. La domanda europea di terre rare, specialmente per i magneti destinati a veicoli elettrici e turbine eoliche, è destinata a esplodere. Il Joint Research Centre della Commissione Europea stima che la domanda Ue per le sole turbine eoliche aumenterà di 4,5 volte entro il 2030. La European Raw Materials Alliance prevede che la domanda mondiale di terre rare per le auto elettriche passerà dalle 5.000 tonnellate del 2019 a 50.000-70.000 tonnellate nel 2030. Altre stime parlano di una domanda Ue di ossidi per magneti intorno alle 30.000 tonnellate nel 2030. A fronte di questa crescita vertiginosa, i tempi per sviluppare nuove miniere sono lunghi: 10-15 anni o più dall’esplorazione alla produzione. Anche con le procedure accelerate previste dal nuovo Critical RawMaterials Act europeo, è altamente improbabile che i nuovi giacimenti scoperti in Svezia o Norvegia possano contribuire in modo significativo a soddisfare la domanda entro il 2030.
Sfide enormi
Creare una catena del valore europea per le terre rare, dall’estrazione al magnete finito, è un’impresa titanica. Le sfide sono enormi. La separazione chimica delle terre rare è estremamente complessa e costosa. La Cina ha decenni di vantaggio tecnologico e può produrre a costi inferiori del 20-40% o più. Gli investimenti necessari sono nell’ordine dei miliardi di euro. L’estrazione mineraria ha un impatto significativo sul paesaggio e sugli ecosistemi. La lavorazione chimica genera reflui tossici. Inoltre, alcuni giacimenti europei contengono elementi radioattivi naturali, come uranio e torio, che richiedono una gestione attenta e costosa, e rappresentano una fonte di preoccupazione per l’opinione pubblica. Infine ottenere i permessi in Europa è un processo notoriamente lungo. Bruxelles mira ad accelerarlo per i “Progetti Strategici” 32, ma resta da vedere l’efficacia pratica. La sfida forse più grande è ottenere la “licenza sociale ad operare”. Le preoccupazioni ambientali, l’impatto sulle comunità locali e, in Scandinavia, i diritti delle popolazioni indigene Sámi possono bloccare i progetti.
Il Critical Raw Materials Act
Per affrontare questa complessa situazione, l’Ue ha varato il Critical Raw Materials Act, entrato in vigore nel maggio 2024.Questa legge fissa obiettivi ambiziosi per il 2030: estrarre nell’Ue almeno il 10% del consumo annuo, lavorare almeno il 40% e riciclare almeno il 25% delle materie prime strategiche. Inoltre, impone un limite massimo del 65% di dipendenza da un singolo paese terzo per ogni materiale strategico. Il Critical Raw Materials Act introduce la nozione di “Progetti Strategici” che beneficeranno di permessi accelerati e accesso facilitato ai finanziamenti, promuove l’esplorazione geologica, incentiva l’economia circolare e mira a rafforzare i partenariati internazionali. Ma gli obiettivi del Critical Raw Materials Act per il 2030, specialmente quelli relativi all’estrazione (10%) e alla lavorazione (40%), appaiono estremamente difficili da raggiungere, data la realtà dei tempi di sviluppo industriale e minerario.L’obiettivodel riciclo (25%) sembra più fattibile, ma richiede comunque enormi progressi rispetto ai tassi attuali (inferiori all’1%).
L’autosufficienza completa è, quindi, un miraggio nel breve-medio termine. L’obiettivo più realistico per l’Europa è costruire una maggiore resilienza. Questo richiederà un approccio pragmatico e multi-livello: sviluppare i giacimenti europei più promettenti, accettando che il loro contributo sarà significativo solo dopo il 2030, investire massicciamente in tecnologie di separazione e riciclo innovative e sostenibili, accelerare drasticamente l’economia circolare per le terre rare e diversificare le fonti di importazione, stringendo accordi strategici con Paesi affidabili.