Patrimoniale, il grande inganno: perché la tassa sui ricchi non può funzionare

  • Postato il 21 novembre 2025
  • Di Panorama
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A sinistra la propongono ciclicamente, ogni volta che si deve fare i conti con la finanziaria e quasi sempre quando al governo c’è il centrodestra. Parlo della patrimoniale, ovviamente. Una tassa che secondo Landini e compagni consentirebbe di «ridurre le diseguaglianze», cioè di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Ma siamo sicuri che sia così? Dal capo della Cgil alla leader del Pd, e in passato da Giuliano Amato a Enrico Letta, senza dimenticare Nicola Fratoianni, tutti provano a calcolare quanti soldi si potrebbero raccogliere introducendo un’imposta sui beni patrimoniali. C’è chi suggerisce un’aliquota dello 0,5 per cento, chi pensa all’1, chi addirittura parla del 2 o, peggio, del 3 per cento. Ovvio, più si aumenta la percentuale più le cifre incamerate salgono. Ma si tratta di un puro esercizio teorico, che non tiene alcun conto delle conseguenze e, soprattutto, dell’applicabilità concreta di un simile provvedimento.

La patrimoniale c’è già e non funziona

Innanzitutto, chiariamo una cosa: la patrimoniale sugli immobili in Italia esiste già e produce ogni anno un incasso non banale, pari a 17 miliardi. Dunque, a meno di non prevedere un incremento dell’aliquota o l’estensione dell’Imu anche ai proprietari della prima casa che oggi sono esentati, dai calcoli della patrimoniale vanno escluse le proprietà immobiliari. A questo punto la tassazione dovrebbe riguardare solo conti correnti e investimenti, ma pure questi ultimi sono già tassati, dall’imposta sui redditi da capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria.

Fatti 100 euro di plusvalenza ottenuti investendo in azioni, obbligazioni e prodotti vari, polizze comprese, il fisco preleva il 26 per cento (12,5 se si tratta di titoli di Stato italiani). Qualcuno potrebbe ritenere che l’aliquota sia troppo bassa, soprattutto se confrontata con quella che grava sui redditi delle persone fisiche. Purtroppo, però, bisogna considerare che, a differenza degli immobili, gli investimenti finanziari possono spostarsi. In altre parole, traslocare all’estero, con un semplice trasferimento di residenza del contribuente oppure ricorrendo a soluzioni societarie.

Il rischio concreto: la fuga dei capitali

L’elusione, soprattutto per i grandi patrimoni che si vorrebbero colpire, è molto facile. E non si tratta di un fenomeno solo italiano. In Svizzera uno studio ha dimostrato che il semplice aumento di un punto percentuale dell’aliquota della tassa patrimoniale ha ridotto la ricchezza dichiarata del 43 per cento in sei anni. Il rischio di una fuga di capitali, perciò, ha indotto la maggior parte dei Paesi europei a rinunciare all’imposta.

Se infatti fino ad alcuni anni fa erano una dozzina gli Stati che l’applicavano, oggi ne sono rimasti appena tre: Spagna, Norvegia e Svizzera. Mentre in Germania la Suprema corte l’ha addirittura dichiarata incostituzionale.

Conti alla mano, il gettito sarebbe negativo

Insomma, introdurre una patrimoniale non è affatto facile. Ma poi siamo sicuri che il gettito sarebbe positivo? Tempo fa, alcuni ricercatori provarono a fare i conti sulla base di un emendamento alla legge di bilancio che proponeva di abolire l’Imu e l’imposta di bollo, per introdurre una nuova tassa che comprendesse tutti i beni patrimoniali, con un’aliquota crescente che partisse dallo 0,2 fino al 3 per cento su capitali da 500 mila euro a oltre un miliardo.

Rispetto al gettito generato da Imu e imposta di bollo, alla fine, tassando anche chi possedeva mezzo milione (cioè, non proprio i ricchissimi), all’appello mancavano 3,7 miliardi. In pratica, la patrimoniale non aggiungeva nuove entrate ma le sottraeva. E tutto ciò senza contare la fuga di capitali.

Gli studi internazionali: un danno per l’economia

Un ancor più recente studio ha calcolato che una tassa patrimoniale imposta sull’1 per cento più ricco degli americani avrebbe un effetto raggelante sul Pil degli Stati Uniti, che per ogni euro di gettito calerebbe di un euro e trenta, con una perdita secca per i conti dello Stato e per l’economia.

Sarà per questo che alla recente idea di introdurre in Francia una patrimoniale annua del 2 per cento sopra i 100 milioni, il premio Nobel Philippe Aghion e altri sei economisti hanno scritto su Le Monde un articolo per criticare l’idea? Di certo, né LandiniSchlein l’hanno letto.

Autore
Panorama

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