Patricelli: quando una scacchiera decideva la guerra fredda

  • Postato il 28 febbraio 2025
  • Di Libero Quotidiano
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Patricelli: quando una scacchiera decideva la guerra fredda

Li separavano cinque anni, una cortina di ferro e due realtà sociali diverse e inconciliabili. Unirono tutti sfidandosi nel gioco inventato in India nel VI secolo da Sissa e conquistando il mondo diviso. I loro nomi erano diventati inseparabili: il sovietico Boris Spasskij e l'americano Bobby Fischer. Spasskij ha raggiunto ieri l'epico rivale, spegnendosi a 88 anni, diciotto dopo la scomparsa dell'altro, che nel 1972 gli aveva sottratto la corona di campione del mondo nel freddo di Reykjavik, gelando la nomenklatura sovietica che riteneva gli scacchi un inviolabile fortino ideologico e di intelligenza.

Quelle partite vennero seguite come se dal loro esito dipendesse il confronto tra Stati Uniti e Urss, contrapposti su tutto e ovunque, in confronti indiretti che andavano dalla dottrina militare allo sport in tutte le sue declinazioni, in cui il medagliere olimpico diventava questione di Stato e di orgoglio nazionale e politico. Spasskij era il più anziano dei due, leningradese classe 1937, esponente di spicco di una scuola che non aveva eguali per tradizione e per numero di praticanti. Nell'Unione Sovietica quello sport cerebrale era un modo di evadere dal piattume della quotidianità e ottenere qualche privilegio, ma solo se si raggiungeva l'eccellenza. Giocare a scacchi significava tenere la testa impegnata in strategie complesse e non pensare alla condizione opprimente del regime, che molti rifuggivano imbottendosi di vodka e alcol. Spasskij imparò a giocare durante l'assedio, e mentre fuori si fronteggiavano le fanterie e i corazzati della Wehrmacht e quelli dell'Armata Rossa, lui muoveva cavalli, torri, alfieri, re e regine per vincere le sue battaglie sulla scacchiera.

Che fosse un fuoriclasse se ne accorsero subito adAversa, quando a 18 anni divenne campione juniores e già l'anno seguente poteva fregiarsi del titolo di Gran maestro. Così come andava veloce sul tartan nelle gare dei cento metri, era pacato e riflessivo seduto in partita. Ma con stile, con classe e capacità di modulazione delle strategie di gioco. Il primo tentativo di diventare campione del mondo gli era sfuggito per un soffio nel 1966, e tre anni dopo rese la pariglia al rivale Petrosjan salendo sull'Olimpo. Poi sul suo orizzonte riapparve un giovanottone yankee di 29 anni, nato a Chicago, che lo aveva sfidato: i due nel 1960 erano arrivati ex aequo a un torneo giovanile di Mar de La Plata ed erano diventati amici nonostante le origini. La competizione sportiva passava in secondo piano rispetto a quella politica, e infatti il mondo si affascinò e seguì le partite disputate nella lontana Islanda come se da esse dipendessero le sorti del confronto tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. A salire sul pennone più alto, nella sfida del secolo, fu la bandiera a stelle e strisce, e a Mosca non la presero benissimo. Ma Spasskij, cavallerescamente, strinse la mano al giovane rivale. Si era chiusa un'epopea e persino la sua passione per il gioco si stemperò, con qualche eccezione, qualche risultato nazionale, qualche caduta (come quella con l'astro emergente Anatolij Karpov), e senza cercare nel passato una motivazione per il presente. La dumasiana rivincita offerta da Fischer nel 1992 si rivelò una caricatura di quella di venti anni prima, in cui in gioco non c'era solo il titolo di undicesimo campione del mondo. L'Unione Sovietica non esisteva più e l'americano era alla deriva per questioni personali. Aveva praticamente smesso di giocare subito dopo essere diventato il numero uno. Verrà persino arrestato a Tokyo, su mandato delle autorità americane, nel 2004, e il russo si rivolgerà direttamente al presidente George W. Bush con una nobile lettera per chiedere la grazia dell'amico e rivale di cui conosceva qualità e debolezze: se non fosse stato possibile, allora potevano arrestare anche lui per metterlo nella stessa cella, naturalmente con una scacchiera. A Fischer sarà rilasciato un passaporto islandese per consentirne la scarcerazione e morirà a Reykjavik nel 2008, a 64 anni, mentre Spasskij era diventato cittadino francese nel 1998. Erano già da tempo nella leggenda.

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Libero Quotidiano

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