Patricelli: I comunisti entrarono ad Auschwitz, poi fecero i gulag
- Postato il 28 gennaio 2025
- Di Libero Quotidiano
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Patricelli: I comunisti entrarono ad Auschwitz, poi fecero i gulag
Quando l'Armata Rossa il 27 gennaio 1945 abbatté i cancelli di Auschwitz -Birkenau liberò i prigionieri lasciati nel campo di sterminio dalle SS, ma non portò affatto la libertà né alla Polonia né all'Europa. Sulle spalle larghe del comunismo già gravava l'eredità di un'esperienza simile, preesistente e destinata a sopravvivere al crollo del nazismo. Il tedesco lager, abbreviazione di Konzentrazionlager (KZL, campo di concentramento) in russo suona gulag (acronimo di Gosudarstvennyj Upravlenje Lagerej, Direzione centrale dei campi di lavoro collettivi, adottato ufficialmente nel 1930).
Se persecuzioni e deportazioni erano uno strumento consueto di repressione politica anche all'epoca dei Romanov, fu Lenin ad aggiungere l'elemento della scientificità sistematica e il suo successore Stalin a farne un modello industriale, al pari del sistema nazista che nel repertorio agghiacciante degli orrori partorì il male assoluto della Shoah. Per gli storici il prototipo del concetto stesso di campo di concentramento è riconducibile a quelli che gli inglesi aprirono in Sudafrica per rinchiudervi militari e civili durante la guerra anglo-boera (1899-1902), in condizioni facilmente immaginabili. Secondo alcuni ancor prima era stata tale la fortezza di Fenestrelle, bagno penale in Piemonte, in cui vennero deportati i soldati borbonici fatti prigionieri nella campagna del 1860-1861, sottoposti a privazioni e falcidiati da freddo, fame, malattie. Ma i bolscevichi prima e i sovietici dopo fecero di più e meglio. Se il primo lager nazista, Dachau, venne inaugurato nel marzo 1933 e del sistema concentrazionario non rimarrà nulla nel maggio 1945 con la debellatio del Terzo Reich, l'esperienza dei gulag, inaugurata nel 1918, arriverà con la sua scia di morte e di dolore fino al 1987.
Con Lenin, al quale si rifanno ancora i nostalgici della falce e martello, nel 1919 venne creata la sezione dei lavori forzati spacciati come metodo di rieducazione e redenzione del nemico di classe, previsto addirittura nella stessa costituzione sovietica. L'espiazione, quando non addirittura la programmata eliminazione rapida per stenti, avveniva nei luoghi più inospitali dello sterminato impero sovietico, dalla Kolyma siberiana all'arcipelago delle Isole Soloviecke sul Mar Bianco, entrati sinistramente nell'immaginario collettivo ma con assai meno forza evocativa di Auschwitz-Birkenau o Mauthausen. Tutte le grandi opere magnificate dal regime comunista in quelle regioni inospitali, strade, linee ferroviarie, dighe, centrali, furono realizzate dai deportati schiavizzati. In quell'inferno passarono 15-20 milioni di uomini, donne e ragazzi, con almeno un milione e mezzo di vittime. Ma parallelismi in base alla contabilità della morte e delle indicibili sofferenze inflitte dai due totalitarismi sarebbero sminuenti delle storie e della memoria dei perseguitati, e darebbero ragione a Stalin quando le liquidava come «statistica». Ai compagni con la memoria corta e che si sono abbeverati ai libri di storia scritti e letti con gli occhiali dell'ideologia, tra censure, omissioni e aggiustamenti, va ricordato che Stalin combatté dalla parte delle democrazie ma non era certamente un democratico, e contribuì a liberare l'Europa dal nazismo ma non per portarvi la libertà. Sostituì il totalitarismo comunista a quello nazista, che trapiantò e impose ovunque vi fosse un solo soldato dell'Armata Rossa con fucilazioni, violenze, imprigionamenti, torture, deportazioni nei gulag dall'altra parte del mondo. E in quelli aperti nei Paesi dell'Europa centro-orientale, a volte proprio negli ex lager.
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