Patricelli: Hamas senza limiti, omaggiano il macellaio e umiliano gli ostaggi

  • Postato il 24 febbraio 2025
  • Di Libero Quotidiano
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Patricelli: Hamas senza limiti, omaggiano il macellaio e umiliano gli ostaggi

Baci e abbracci agghiaccianti: agli aguzzini in mimetica a Gaza, e della folla a Beirut. Di là gli ostaggi israeliani rilasciati e umiliati da Hamas, di qua il tripudio funebre di Hezbollah.

E in mezzo il disprezzo dei valori elementari dell'umanità, tra un teatrino di brutale sadismo e uno stadio in un tripudio di odio. Come non bastasse, un'ulteriore dose di disgusto versato nell'avvelenata coppa mediorientale: due ostaggi ancora nelle mani di Hamas sono stati costretti ad assistere dentro a un furgone alla cerimonia propagandistica di rilascio di Omer Shem Tov, Eliya Cohen e Omer Wenkert. Una criminale tortura psicologica tanto fine quanto aberrante far vedere la libertà che si ritrae come in un moderno supplizio di Tantalo, e poi il ritorno sotto scorta di miliziani incappucciati nella prigione sottoterra. Le anime pie, quelle belle e i sepolcri imbiancati avranno modo di meditare sull'asincronia e sul differente peso specifico attribuito alla vita e alla dignità da Israele e dai terroristi palestinesi; e, allo stesso modo, di chi intende fare cosa e come nei confronti dell'altro.

Non siamo più da tempo nell'ambito del diritto internazionale e della presunzione di applicare stesse regole per metodi diversi e filosofie politiche diverse.

La megamanifestazione allestita alla Città dello sport di Beirut dal Partito di Dio per le esequie del leader storico Hezbollah, Hassan Nasrallah, è stata posticipata di mesi dalla morte avvenuta il 27 settembre scorso in un raid israeliano, proprio per “festeggiare” il ritiro dell'Idf dal Libano. Decine di migliaia di sostenitori del movimento filo-iraniano vestiti di nero e con le bandiere gialle hanno animato il funerale-spettacolo davanti agli occhi del mondo e a quelli degli sponsor del terrore di Teheran, il presidente del Parlamento, Mohammad-Bagher Ghalibaf, e il ministro degli Esteri Abbas Araghchi. Maxi schermi all'esterno per sfidare la capienza di oltre ottantamila posti tra spalti e prato: gli uomini da una parte, le donne da un'altra, ma questo non conta per la morale doppia e a corrente alternata dei Pro Pal di casa nostra. Una mobilitazione e una dimostrazione di forza per comprovare che la tregua è appunto una tregua e prima o poi ricomincerà tutto come prima e più di prima.

Di fronte a questi reiterati orrori il premier Benjamin Netanyahu ha detto disgustato che è pronto a riprendere la guerra in qualsiasi momento, anche alla luce del messaggio pubblico della guida suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei, in cui promette di continuare la «resistenza» a Israele (si presuppone con un fremito dell'ultrasinistra italiana e dei postpartigiani locali) «contro l'usurpazione, l'oppressione e l'arroganza», che «continuerà fino al suo obiettivo finale». Ovvero, la distruzione di Israele, che è nello statuto di Hamas e sui libri di scuola dei bambini palestinesi educati all'odio. C'è poco da illudersi sui vasi comunicanti tra un sistema che predica diritti, uguaglianza, rispetto, dignità, dialogo, e uno che applica l'arbitrio, la sottomissione, l'umiliazione, la negazione e l'imposizione, per di più nel nome di Dio che si ostina a bestemmiare come «misericordioso».

Eppure il mondo civile si aggrappa ai princìpi e agli strumenti dell'illuminismo, della ragione e della diplomazia. I due ostaggi costretti a guardare i compagni liberati non dovevano neppure essere lì, non solo per un condivisibile moto etico, bensì proprio per un preciso obbligo sancito dalla Convenzione III di Ginevra del 1949: in caso di guerra la presa di ostaggi è espressamente vietata e tanto i militari che hanno deposto le armi quanto coloro che «non partecipano direttamente alle ostilità» (men che meno chi il 7 ottobre partecipava al rave party o se ne stava a casa sua) devono essere trattati «in ogni circostanza, con umanità» (art. 3). C'è un abisso incolmabile tra Israele che cura e opera Yahya Sinwar per un cancro che lo metteva in pericolo di vita, e i prigionieri israeliani di Hamas che non hanno conosciuto né pietà né rispetto. Altro che baci e abbracci.

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Libero Quotidiano

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