Parlano come noi ma non sono noi: le IA nel nuovo libro di Guido Vetere
- Postato il 11 agosto 2025
- Editoria
- Di Artribune
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Se le macchine ci parlano con parole nostre ma logiche loro, allora chi stiamo davvero ascoltando? È da questa domanda – solo in apparenza semplice – che prende le mosse Intelligenze aliene, il saggio che Guido Vetere dedica al fenomeno più stupefacente (e più frainteso) della nostra contemporaneità: l’irruzione nel discorso umano di soggetti artificiali che parlano, argomentano, rispondono, imitano, inventano. Con un titolo che echeggia la migliore fantascienza – e richiama esplicitamente L’invasione degli ultracorpi – Vetere ci invita a osservare le AI generative non come “strumenti intelligenti” ma come nuove forme di vita linguistica.
Le “intelligenze aliene” secondo Guido Vetere
Lontane dall’antropomorfismo rassicurante, queste “intelligenze aliene” non sono né amiche né nemiche: sono altro. E per imparare a conviverci, sostiene l’autore, serve più filosofia, più storia del pensiero, più consapevolezza dei limiti della nostra stessa razionalità. Il cuore del libro è proprio qui: nel linguaggio. Non tanto come tecnica da automatizzare, ma come enigma da interrogare. Dopo aver ripercorso un secolo di filosofia linguistica – da Wittgenstein a Saussure, dal formalismo al generativismo di Chomsky – Vetere mette a fuoco il punto cieco dell’intelligenza artificiale contemporanea: il significato. Le macchine parlano, sì. Ma che cosa intendono, se intendono qualcosa? E noi, che ci relazioniamo sempre più spesso a questi agenti virtuali, che cosa stiamo davvero ascoltando? Intelligenze aliene rifiuta le scorciatoie dell’entusiasmo cieco e dell’apocalisse annunciata. Il libro, anzi, prende le distanze sia dall’utopia transumanista (quella che promette una superintelligenza capace di risolvere tutto) sia dal catastrofismo digitale che evoca scenari da sci-fi distopica. Per Vetere, l’intelligenza artificiale è soprattutto una proiezione dei nostri desideri: desiderio di controllo, di conoscenza assoluta, di trascendenza razionale. E come ogni desiderio, porta con sé ombre e abbagli. Un altro grande merito del saggio è la sua capacità di mettere in dialogo saperi diversi. Filosofia del linguaggio, semiotica, logica, informatica, ma anche cinema, letteratura e cultura pop: l’autore passa da Wittgenstein a Star Wars, da Peirce a Her, senza mai perdere il filo. Ne esce un affresco lucido e appassionato, capace di raccontare non solo che cosa sono oggi le IA, ma soprattutto che cosa dicono di noi. Infine, il messaggio politico, che attraversa il testo in filigrana ma diventa esplicito nella parte finale: non basta comprendere le tecnologie, bisogna anche decidere come convivere con esse. E in un mondo in cui le IA entrano nelle scuole, negli ospedali, nei tribunali, nei processi creativi, la posta in gioco non è solo tecnica: è culturale, sociale, etica. Con Intelligenze aliene, Guido Vetere ci offre uno strumento per pensare criticamente la nostra epoca. Non per cercare risposte facili, ma per formulare domande migliori. Perché se il linguaggio è ciò che ci rende umani, allora non possiamo permetterci di ignorare chi – o che cosa – lo parla insieme a noi.
Guido Vetere, Intelligenze aliene. Linguaggio e vita degli automi
Luca Sossella editore, 2025
pag 192, euro 15,00
ISBN 9791259980878

Guido Vetere racconta il suo nuovo libro “Intelligenze aliene”
Guido Vetere ha studiato filosofia del linguaggio alla Sapienza sotto la guida di Tullio De Mauro, approfondendo logica e informatica con Corrado Böhm. Dopo una carriera in IBM, dove ha diretto il Centro Studi Avanzati lavorando a progetti di rappresentazione della conoscenza e trattamento del linguaggio, oggi si dedica alla ricerca e alla docenza universitaria, con attenzione ai nuovi sviluppi dell’intelligenza artificiale. Lo abbiamo intervistato per approfondire il suo libro “Intelligenze aliene”.
Nel libro descrivi le intelligenze artificiali come “intelligenze aliene” che ci parlano con parole nostre ma seguono logiche altre. In che modo questa alterità linguistica può aiutare – o al contrario ostacolare – la nostra comprensione del reale?
Le “intelligenze aliene” producono, col linguaggio e con le immagini, parti sempre più rilevanti della nostra realtà personale e sociale. Con Hegel, si può dire che questa realtà è già razionale, nel senso che viene continuamente integrata nella nostra visione delle cose, cioè nella coscienza intersoggettiva. La cultura è sempre ibridazione, è sempre accogliere l’altro e farne parte di sé. Ma allora il tema dei “rischi e opportunità” dovuti a queste presenze diviene quello di indirizzare la coesistenza verso il progresso e non verso il puro profitto e le conseguenti catastrofi. Per questo ci vogliono consapevolezza e politica, meglio se attiva e concreta.
Il libro intreccia storia della filosofia del linguaggio, linguistica, cibernetica e attualità tecnologica. Quali autori o concetti le sono stati fondamentali per elaborare questa prospettiva “integrata” sull’IA generativa?
Uno dei concetti-chiave della filosofia novecentesca è quello dell’interpretazione. Questo ruota attorno alla nozione di segno come elemento identificabile (dunque parlabile) di mediazione cognitiva e sociale. Il problema delle intelligenze aliene sta proprio nell’offuscamento del segno, sepolto nell’oscurità numerica dei language model. Ma la natura del segno, anche per noi umani, è un tema molto aperto. Il percorso del libro tocca le sponde della semiotica, dello strutturalismo, delle forme di vita linguistica wittgensteiniana, della teoria dell’informazione e della grammatica generativa. La ricerca tecnologica inizia a muoversi nella direzione di un recupero del segno: si parla infatti di sistemi neurosimbolici. Forse la produttività dei nuovi automi potrà dire ai filosofi qualcosa di interessante, ma oggi c’è un clima di sospetto in cui la domanda hegeliana diventa: questarazionalità è ancora reale? O ciò che sembra divenire misteriosamente calcolabile è una nuova ideologia utile ai soliti noti?

Macchine parlanti e proiezioni dei desideri più profondi
Le macchine parlanti ci costringono a ridefinire il nostro rapporto con la scrittura e con la conoscenza. Quali sono, a suo avviso, le implicazioni culturali e cognitive più profonde di questa trasformazione?
Mentre Bill Gates dice che i prossimi docenti saranno automi, alcuni, come Gerd Leonard, lanciano l’allarme sulla possibile de-umanizzazione derivante dall’impoverimento delle capacità critiche del soggetto vivente. Federico Fubini parla, dati alla mano, di recessione cognitiva, e punta il dito contro l’IA. A me sembra una riedizione del Fedro platonico: sembra di sentir dire che l’invenzione della scrittura produrrà “dimenticanza nelle anime”. Sappiamo che non è andata così, che l’esercizio umano del logos si è co-evoluto con le tecnologie della scrittura producendo nuove e ricche forme. Ma questa produttività non avviene per incanto: è piena di lavoro e di scelte. Quindi invece di stracciarsi le vesti bisogna rimboccarsi le maniche, per usare metafore sartoriali. Gli alieni intelligenti possono aiutarci a curare l’analfabetismo funzionale di cui già parlava De Mauro più di trenta anni fa, ma bisogna volerlo fare.
In che senso l’intelligenza artificiale è una “proiezione del nostro desiderio”? E cosa ci dice questo sul nostro tempo e sulla nostra idea di razionalità?
Fummo cacciati dall’Eden per aver dato un morso alla mela della conoscenza, ma niente affatto scoraggiati abbiamo continuato a scrutare la mente di Dio con arti varie, fino ad arrivare alla scienza moderna. Il Virgilio dantesco invitava le umane genti a star contente al quia, perché la ragione non avrebbe mai potuto “veder tutto”, ma proprio quell’invito rivelava il desiderio del suo opposto. Oggi viviamo con grande eccitazione l’idea di trovarci a un passo dall’Intelligenza artificiale generale (AGI) che potrà dare risposte alle “domande fondamentali sulla vita, l’universo e tutto quanto”. Sembrerebbe allora che la nostra idea di razionalità sia ancora quella del calculemus! leibniziano, come se da allora non avessimo avuto prove sufficienti del suo carattere a dir poco problematico. L’ingegneristica ingenuità è votata al fallimento, ma prima di franare la sua ideologia può fare danni, ad esempio dare a un automa il potere di decidere, in guerra, chi vive e chi muore. Condivido con Luca De Biase l’idea che le sfide dell’IA siano più epistemiche e che etiche. La “ragione della macchina” ha una dialettica tutta sua che abbiamo il dovere di conoscere prima di usarla. Il problema etico è tutto nel nostro campo.
Nel libro sembra suggerire che un dialogo con le “intelligenze aliene” sia possibile solo se accettiamo la loro radicale differenza. Quale tipo di atteggiamento culturale o politico servirebbe oggi per gestire questa coesistenza senza cadere né nell’entusiasmo cieco né nel rifiuto apocalittico?
Per avere un rapporto positivo e fecondo con le intelligenze aliene bisogna imparare a conoscerle, non solo sotto il profilo informatico, ma anche e soprattutto sotto quello delle assunzioni che le tecnologie adottano, spesso tacite o addirittura inconsapevoli, come ad esempio quella del distribuzionalismo, cioè l’idea che il modo in cui si collocano le parole nei testi ne restituisca il significato. L’atteggiamento che suggerisco nel mio libro è quello di una consapevole e vigile accoglienza, perché una cosa è certa: le intelligenze aliene possono essere utilissime e comunque sono qui per restare.
Dario Moalli
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