Parigi di nuovo senza un governo. L’Eliseo ora medita un colpo di mano
- Postato il 9 settembre 2025
- Di Panorama
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C’era una volta la leggendaria stabilità dei governi europei, contrapposta all’equilibrio sempre precario degli effimeri esecutivi italiani. Almeno in questo senso, Emmanuel Macron potrà vantarsi di aver reso un po’ più «italiana» la Francia. Con le dimissioni che oggi François Bayrou rassegnerà nelle mani del presidente, sono già sei i primi ministri che si sono succeduti in meno di 10 anni alla corte dell’ex pupillo della banca Rothschild: Édouard Philippe, Jean Castex, Élisabeth Borne, Gabriel Attal, Michel Barnier e appunto Bayrou. Le Figaro fa peraltro notare maliziosamente come, dall’annuncio del voto di fiducia, avvenuto il 25 agosto agosto, fino a ieri, il primo ministro uscente abbia intensificato esponenzialmente i suoi interventi sui media: che questo improvviso presenzialismo sia prodromico a una sua candidatura alle presidenziali del 2027? Possibile, ma il 2027 appare lontanissimo in quell’Eliseo che ha perso la sua proverbiale capacità di ragionare sui tempi lunghi. L’urgenza, adesso, è capire cosa fare domani.
Gli scenari possibili sono tre (più un quarto, abbastanza preoccupante): la nomina di un nuovo premier, le elezioni anticipare o le dimissioni di Macron. Per i francesi, quest’ultima sembra essere la soluzione di gran lunga desiderabile: secondo un sondaggio diffuso domenica, il 49% degli intervistati vorrebbe che Macron lasciasse la poltrona, il 36% auspica un nuovo primo ministro e solo il 15% spera in uno scioglimento dell’Assemblea nazionale. Macron è uomo dalle decisioni repentine e a volte spiazzanti, quindi nulla può essere escluso. Ma non sembrerebbe orientato verso le dimissioni. Più probabile che nomini il suo settimo premier (è quel che ha lasciato intendere nel suo laconico commento di ieri sera). Il totonomi impazza, pescando fra i membri del governo uscente: si va dall’attuale ministro delle Finanze, Éric Lombard, al ministro della Giustizia, ex Interni, Gérald «Mr Simpatia» Darmanin, dal ministro del Lavoro, Catherine Vautrin, a quello della Difesa, Sébastien Lecornu. Si fa anche il nome di Pierre Moscovici, attuale presidente della Corte dei conti. Nessuna di queste opzioni sembra comunque particolarmente convincente. Anche la via elettorale, tuttavia, appare piena di incognite. Marine Le Pen e il suo alleato, Éric Ciotti, sono dati largamente in testa, con il 33% dei voti al primo turno, il blocco di sinistra rossoverde è dato al 19%, senza La France Insoumise (quotata al 10%), la nebulosa macroniana avrebbe il 15% e la destra moderata dei Républicains un altro 10%. Anche tenendo conto dell’incognita dei ballottaggi, il quadro appare ingovernabile, spaccato com’è in tre tronconi: sinistra, conservatori e riformisti, sovranisti. Tenendo conto di veti contrapposti, archi repubblicani, antipatie personali, reciproche linee rosse programmatiche invalicabili, non se ne cava una maggioranza stabile neanche a pagarla.
Un’ulteriore variabile è quella del processo d’appello a Marine Le Pen e a 11 dirigenti del Rn per la presunta truffa degli assistenti parlamentari, che avrà luogo dal 13 gennaio al 12 febbraio. Ovviamente nulla c’entra con le disavventure del governo, ma, tra una cosa e l’altra, non è detto che la questione non venga casualmente fatta scivolare sul tavolo delle trattative.
Sui media francesi rimbalza poi una quarta ipotesi, inquietante: Macron, scrive Elisabeth Fleury su Msn.com, negli ultimi giorni avrebbe moltiplicato le consultazioni con i giuristi per capire se sia possibile applicare l’articolo 16 della Costituzione, che prefigura una sorta di stato d’emergenza. Nel caso, l’Eliseo assumerebbe sia il potere legislativo che quello esecutivo. Finora l’articolo è stato applicato solo da Charles De Gaulle, dopo il tentato putsch dei generali nel 1961. Difficile che un’impasse parlamentare possa bastare per un tale colpo di mano. Ma se le agitazioni del nuovo movimento Bloquons tout prendessero una piega sbagliata…