Papa Leone XIV chiude con l’era Bergoglio: la sfida di Zuppi è già persa
- Postato il 6 settembre 2025
- Di Panorama
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In una calda sera di giugno, in piazza Maggiore a Bologna, Matteo Maria Zuppi ha dichiarato una silenziosa “opposizione” a Leone XIV. È accaduto alla manifestazione culturale La Repubblica delle Idee, dove il cardinale del capoluogo emiliano e presidente della Cei – Conferenza episcopale italiana – ha intenzionalmente ammesso: «Papa Francesco lo rimpiangiamo tutti: non c’è, ma c’è. Nel suo ministero ha regalato tante chiavi di lettura per tutti. Pensate alla Terza guerra mondiale a pezzi, ai ponti e ai muri, alla Laudato si’». Che è l’enciclica della totale adesione di Bergoglio al pregiudizio anticapitalistico che guida l’ideologia, assurta a religione, del cambiamento climatico per colpa, massima colpa dell’uomo.
Quasi nelle stesse ore – come nota padre Santiago Martin, uno dei più ascoltati anchorman cattolici, fondatore della comunità dei Francescani di Maria -, il Papa inviava al cardinale Pedro Ricardo Barreto Jimeno, presidente della Conferenza episcopale dell’Amazzonia, un documento assai duro. Barreto è peruviano e il Perù è la seconda patria di Prevost, che però nella sua pastorale non ha mai ascoltato la sirena delle teologie della liberazione. Oggi il Papa chiede al Celam, il Consiglio episcopale latinoamericano, di tornare alla tradizione annunciando “il Risorto”. Niente sinodi, niente Pachamama (la dea della fertilità latino americana) esposta da Bergoglio in San Pietro con (quasi) pari dignità con la Madonna.
Leone XIV spiega a Barreto: «Là dove si predica il nome di Cristo, l’ingiustizia arretra proporzionalmente, poiché ogni sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo scompare se siamo capaci di accoglierci come fratelli. Dio Padre ci ha affidato la casa comune come amministratori solleciti, affinché nessuno distrugga irresponsabilmente i beni naturali che parlano della bontà e della bellezza del Creatore né, tanto meno, si sottometta a essi come schiavo o adoratore della natura, poiché le cose ci sono state date per raggiungere il nostro fine di lodare Dio». Chissà come l’ha presa Zuppi, che al contrario di come lo racconta Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio di cui è curatore spirituale il cardinale bolognese e candidato Papa sconfitto, non è un prete di strada.
Il presidente della Cei infatti è nipote del cardinale Carlo Confalonieri, il tessitore del Concilio Vaticano II e figlio dell’uomo – Enrico Zuppi – che per trent’anni ha diretto l’Osservatore della Domenica, il settimanale del giornale Vaticano. Sa come muoversi in curia e sta organizzando la fronda a Leone XIV.
L’ha buttata sull’ecologia, e Prevost ha risposto con il no alla pastorale green, poi ci ha riprovato con un altro tema cruciale. Si dà il caso che Bologna sia il luogo della “resistenza” cattolica (anche per ragioni politiche: Zuppi è attentissimo a muoversi in sintonia con il politicamente corretto di sinistra) e i padri dehoniani, che sotto le torri hanno quartier generale, hanno rilanciato con la loro rivista, Settimana News (punto di riferimento per i parroci e assai gradita al presidente della Cei), un altro tema di “scontro” con Prevost: quello dei preti sposati e delle donne diacono. Hanno ripubblicato un’intervista di quasi 50 anni fa al cardinale di Torino Michele Pellegrino, che apriva al diaconato femminile e all’abolizione del celibato sacerdotale.
Anche stavolta Leone XIV ha indirettamente risposto. Ai vescovi del Sud America ha ricordato che i preti devono essere celibi e che non c’è alcuno spazio per il sacerdozio femminile. Così dall’Amoris laetitia – la lettera pastorale pre-sinodale di quasi dieci anni fa di Francesco – Prevost prende l’esortazione alla famiglia, il no all’aborto, la saldezza del matrimonio, ma accentua, in merito di sacramenti agli omosessuali, alle teorie gender, l’affermazione che «lo stile di vita omosessuale è in contrasto con il Vangelo». Va in archivio dunque anche la Fiducia supplicans, dichiarazione favorevole alla benedizione delle coppie gay che il dicastero per la Dottrina della fede guidato dal cardinale bergogliano integralista Victor Manuel Fernández aveva emesso un paio d’anni fa. Su questo allargamento “pastorale” agli omosessuali Matteo Maria Zuppi è sempre stato in prima linea.
Prevost per confutare questa “apertura” parte proprio da Bologna; nel Giubileo dei figli e della famiglia ha pescato ampiamente dalle posizioni di Carlo Caffarra, predecessore di Zuppi come cardinale di Bologna, e uno dei firmatari dei famosi dubia rivolti a Bergoglio proprio sull’Amoris laetitia.
Recuperando la Humanae vitae di Paolo VI – l’ultima enciclica di Montini che deluse molte delle avanguardie conciliari – Prevost ha detto chiaro che il matrimonio «è il canone dell’amore» e che gli sposi – uomo e donna e null’altro – collaborano al progetto divino procreando. Il solco con i vertici Cei si fa via via più profondo fino a porre le gerarchie della Chiesa italiana – ma non i fedeli che riconoscono in Prevost il priore generale dei seguaci di Sant’Agostino – in posizione quasi antagonistica con Leone XIV.
Sul tavolo ci sono altre questioni: c’è Zuppi che incaricato da Francesco della missione Ucraina ha preso le distanze dagli ortodossi, c’è Zuppi che non fa sconti su Gaza a Israele. Anche il cardinale Pierbattista Pizzaballa, nunzio apostolico a Gerusalemme, in accordo con il patriarca ortodosso Teofilo III, tiene ferma la posizione dei cattolici – «non andremo via da Gaza» – ma non usa verso Israele i toni che la Cei ha nei confronti di Bibi Netanyahu. «Non sta facendo il bene del suo popolo», ha detto Zuppi, «bisogna mettere insieme pace e giustizia». E giustizia per il cardinale di Bologna che a monte Sole – luogo sacro della Resistenza italiana – ha letto i nomi dei bambini palestinesi uccisi (ma non di quelli ebrei trucidati il 7 ottobre del 2023) è stare con i palestinesi. Leone XIV ha invece un altro orizzonte.
Ha rilanciato il dialogo con gli ebrei – ha scritto al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni richiamando le «comuni radici nella fede» – ricevendo il metropolita Antonij ha riaperto le relazioni con gli ortodossi russi. Una linea che il cardinale Pietro Parolin, spiazzando i bergogliani duri e puri, da Segretario di Stato ha subito sposato.
Per ora Leone XIV non ha fatto nomine, non ha messo mano alle costituzioni apostoliche, ma sta mandando in soffitta l’eredità di Francesco. Solo con gesti formali (dall’indossare la mozzetta alle ferie a Castel Gandolfo al ripristino della messa in latino)? No, la “ruggine” è antica. In un video di un suo incontro pastorale in Perù affermava: «Non sempre con Bergoglio vado d’accordo». E confessava: «Non mi farà mai cardinale». Lo Spirito Santo la pensava evidentemente in maniera diversa, così il primo Papa americano ha aperto un rapporto privilegiato con Timothy Dolan, arcivescovo di New York, amicissimo del vicepresidente Usa JD Vance.
Dolan è presidente del Consiglio di amministrazione della Papal Foundation, un’organizzazione caritatevole americana, che sostiene le iniziative del Papa nei Paesi in via di sviluppo. Ha capito Prevost che l’Obolo di San Pietro –-prosciugato da Bergoglio – non basta più: adesso serve il sostegno in dollari.
A Zuppi, che vede Donald Trump come il fumo negli occhi e che continua indirettamente ad armare le barche di salvataggio di Luca Casarini (che le usa per recuperare migranti in mare), e che non ama il capitalismo, questo Vaticano all’Occidentale non piace. Lo ha fatto capire bene una settimana fa al Meeting di Rimini. Purtroppo per lui pare invece piacere ai fedeli, che sentono di nuovo un Papa custode della fede.
Lo ha rivelato Raymond Burke, il decano dei cardinali americani, firmatario dei dubia, il vero grande elettore di Prevost. In un’omelia ha definito Leone XIV Papa del terzo segreto di Fatima, chiamato da Dio a contrastare le apostasie, a liberare la Chiesa dal “modernismo”, il che proietta Prevost lontanissimo da Bergoglio, ma vicinissimo a San Giovanni Paolo II. E con questa affermazione il cardinale americano ha lanciato lo slogan: Pope is back!